Obesità, cambiano i criteri per diagnosi e cura della malattia
Bmi addio, o quasi. Non basterà più l’indice di massa corporea per stabilire se una persona soffre di obesità e per decidere come curarla. La definizione attuale, che considera un paziente ‘obeso’ se ha un Bmi uguale o superiore a 30, “esclude molte persone che potrebbero beneficiare del trattamento”. L’Easo, Associazione europea per lo studio dell’obesità, detta quindi “un nuovo schema per la diagnosi, la stadiazione e la gestione dell’obesità negli adulti”. Pubblicato su ‘Nature Medicine’, permetterà di “modernizzare la diagnosi e il trattamento” della patologia “tenendo conto di tutti gli ultimi sviluppi nel campo, compresa la nuova generazione di farmaci per l’obesità”. Medicinali la cui somministrazione potrà essere valutata anche quando l’indice di massa corporea è inferiore a 30, pari a 25 o maggiore.
“Nonostante l’ampio riconoscimento dell’obesità come una malattia multifattoriale, cronica, recidivante e non trasmissibile, caratterizzata da un accumulo anormale e/o eccessivo di grasso corporeo, la diagnosi di obesità è ancora in molti contesti basata esclusivamente sui valori di soglia del Bmi e non riflette il ruolo della distribuzione e della funzione del tessuto adiposo nella gravità della malattia”, spiega l’Easo in una comunicazione che riporta in calce anche il nome dell’italiano Luca Busetto, professore associato del Dipartimento di Medicina dell’università di Padova, vice-president della società scientifica per la regione Sud. Una delle novità chiave dei criteri redatti dal gruppo di lavoro Easo, composto da esperti fra cui i presidenti presenti e passati dell’associazione, riguarda dunque “la componente antropometrica della diagnosi di obesità”. E mette nero su bianco che “il solo Bmi è insufficiente come criterio diagnostico” e che “la distribuzione del grasso corporeo ha un effetto sostanziale sulla salute”. Nel mirino il girovita: “L’accumulo di grasso addominale è associato a un aumento del rischio di sviluppare complicazioni cardiometaboliche”, ammoniscono gli specialisti, e rappresenta quindi “un determinante più forte dello sviluppo della malattia rispetto all’indice di massa corporea, anche in soggetti con un Bmi inferiore alla soglia standard (30) per la diagnosi di obesità”. Il grasso addominale o viscerale, avverte l’Easo, “è un importante fattore di rischio per il deterioramento della salute anche in persone con Bmi basso e senza manifestazioni cliniche evidenti”. Pertanto le nuove indicazioni europee considerano obesi anche “soggetti con Bmi più basso” di 30, “compreso tra 25 e 30, ma accumulo di grasso addominale aumentato e presenza di eventuali compromissioni mediche, funzionali o psicologiche”. Così “riducendo il rischio di sottotrattamento in questo particolare gruppo di pazienti, rispetto all’attuale definizione di obesità basata sul Bmi”.