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Ricerca clinica: dall’innovazione benefici per il sistema, servono fondi

Un euro investito in uno studio clinico ne genera quasi 3 (2,95) in termini di benefici per il Servizio Sanitario Nazionale. L’effetto leva, determinato dai costi evitati per l’erogazione a titolo gratuito di terapie sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate nei trial, raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni contro il cancro. Basti pensare che il costo medio di una ricerca in oncologia è di 512mila euro, ma quelli evitati sono più del doppio, pari a 1 milione e 200mila euro. È stato stimato, soltanto nell’area dell’oncoematologia, un risparmio potenziale di circa 400 milioni di euro ogni anno. Cifre che raggiungono dimensioni macroeconomiche, di alcuni miliardi di euro, se si considerano tutte le sperimentazioni svolte in Italia. Il nostro Paese però è ancora lontano dall’obiettivo di investire in ricerca il 3% del PIL, come raccomandato dall’Unione Europea, fermandosi all’1,43%, con solo lo 0,5% di investimento pubblico. Al “Valore della ricerca clinica in oncologia, ematologia e cardiologia” è dedicato il convegno nazionale organizzato oggi a Roma da FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi), con gli interventi, fra gli altri, del Ministro della Salute, Orazio Schillaci, e del Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro.

“La ricerca scientifica è la chiave di volta per garantire a ogni persona le migliori opportunità di cura e assistenza sanitaria – afferma il Ministro Schillaci -. Permettere ai pazienti di accedere a farmaci innovativi e sicuri in tempi più brevi nonché garantire una maggiore competitività dell’Italia a livello globale sono due priorità all’interno dell’agenda del mio mandato al Ministero della Salute. In questa visione di ampio respiro, si inseriscono i Decreti sui Comitati Etici, che ho recentemente firmato e che costituiscono un passo in avanti decisivo verso la piena implementazione nel nostro ordinamento del Regolamento europeo 536 del 2014 in materia di sperimentazioni cliniche. Tali provvedimenti rivestono un’importanza fondamentale per l’iter regolatorio di approvazione delle sperimentazioni e per un miglioramento della performance dell’Italia nel settore, muovendosi nella direzione di una minore burocrazia, senza rinunciare al livello di rigore scientifico necessario per garantire farmaci e dispositivi medici sicuri. Dobbiamo mettere in campo ogni iniziativa per dare impulso all’innovazione e alla ricerca sanitaria. I fondi per la ricerca e per la sanità in generale sono stati sempre inferiori rispetto alla media europea. È arrivato il momento di invertire la rotta”.

“In cinque anni il numero di nuovi studi clinici autorizzati nel nostro Paese è aumentato in maniera esponenziale: da 564 nel 2017 a 818 nel 2021, in un quinquennio sono stati 3403 – spiega Francesco Cognetti, Presidente FOCE -. Ogni anno in Italia sono circa 40mila i cittadini coinvolti nelle sperimentazioni. Due terzi dei trial interessano le neoplasie, le malattie ematologiche e cardiovascolari, che tra l’altro producono i due terzi della mortalità annuale. I vantaggi che derivano dalla ricerca sono a 360 gradi. I pazienti possono beneficiare di terapie innovative con grande anticipo rispetto alla loro disponibilità, ottenendo miglioramenti della sopravvivenza e qualità di vita. Le aziende sanitarie che ospitano centri sperimentali godono di un innalzamento dell’assistenza sanitaria e della crescita professionale del personale coinvolto. Inoltre, allo sviluppo di nuovi farmaci fa seguito una forte utilità sociale, per l’allungamento della vita media dei cittadini. La ricerca clinica è, pertanto, un motore di sviluppo economico e sociale per il Paese”.

Gli investimenti complessivi pubblici e privati in questo settore, in Italia, equivalgono a oltre 750 milioni di euro all’anno, di cui il 92% proveniente da aziende farmaceutiche per studi profit. Inoltre, circa l’80% delle ricerche svolte nella Penisola è di origine internazionale e rappresenta un’esportazione di servizi, contribuendo positivamente alla bilancia commerciale del nostro Paese. In particolare, l’oncologia assorbe ben il 40% dei trial (330 nel 2021). Nel 2022, in Italia, sono stati stimati 390.700 nuovi casi di cancro. Il 65% delle donne e il 59% degli uomini sono vivi a 5 anni dalla diagnosi, un risultato molto importante raggiunto anche grazie all’innovazione. “Il progresso della ricerca contro i tumori negli ultimi 50 anni è stato incredibile – spiega Carlo Croce, Professore di Medicina Interna alla Ohio State University (USA) -. Mezzo secolo fa non sapevamo nulla della base molecolare dei tumori. Abbiamo poi scoperto che le neoplasie sono causate da alterazioni genetiche somatiche, che si verificano durante la nostra vita. L’identificazione di queste mutazioni ha permesso lo sviluppo di farmaci mirati, le terapie a bersaglio molecolare. E l’ultima frontiera dell’immunoncologia, in alcuni casi, permette di cronicizzare malattie molto aggressive come il melanoma metastatico. Oggi, per sviluppare un farmaco anticancro innovativo, serve circa un miliardo di dollari. Se le aziende farmaceutiche non riuscissero a recuperare questi costi, non investirebbero più nella ricerca. La sfida è individuare il difficile compromesso tra l’impulso all’innovazione, che sostiene lo sviluppo di nuove molecole, e le esigenze di sostenibilità dei sistemi sanitari. Un patto fra industria, clinici, Istituzioni e Università è la via da seguire per dare nuovo impulso alla ricerca”.

“I centri sperimentali del nostro Paese sono ritenuti un’eccellenza, per la loro indiscussa qualità scientifica e accademica – sottolinea Giorgio Palù, Presidente AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) -. Ne va però migliorata l’organizzazione, uniformando processi e procedure. È necessario anche adeguarne la dotazione tecnica e strumentale, in particolare digitale, e aumentarne gli organici. Una delle maggiori criticità riguarda i tempi di avvio dei trial, caratterizzati da un iter regolatorio lungo e difficoltoso. Questi elementi possono minare l’attrattività dell’Italia. Ci auguriamo che i nuovi standard stabiliti dal Regolamento europeo 536 del 2014, che ha armonizzato il processo di valutazione e autorizzazione di uno studio clinico condotto in più Stati membri, consentano di superare queste difficoltà, accelerando le decisioni e riducendo i vincoli burocratici”.

L’Italia si è finalmente adeguata alla normativa comunitaria, grazie ai quattro decreti firmati dal Ministro della Salute il 30 gennaio 2023. “Il nostro Paese ha rischiato di perdere il nuovo treno della ricerca clinica che era già partito il 31 gennaio 2022, con l’entrata in vigore del ‘Clinical Trial Information System’ (CTIS), il portale unico continentale per le sperimentazioni, istituito dal Regolamento europeo – continua il Prof. Cognetti -. L’Italia è restata ferma in una fase di transizione di un anno e, grazie alla decisione del Ministro Schillaci, siamo riusciti ad aggregarci al resto del Continente. Oggi il nostro Paese è in quarta posizione in Europa per studi clinici aderenti al nuovo Regolamento europeo, dopo Francia, Spagna e Germania. Va recuperato il tempo perduto”.

“Oggi riusciamo a guarire definitivamente circa l’80% dei bambini che si ammalano di tumore in età pediatrica, con percentuali di guarigione per alcune neoplasie che arrivano addirittura a oltre il 90% – spiega Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità -. Gli investimenti in ricerca e le collaborazioni scientifiche internazionali hanno permesso di ottenere questi importanti traguardi. Da un lato le terapie a bersaglio molecolare, dall’altro l’immunoncologia hanno cambiato lo scenario. La prossima sfida è utilizzare la terapia cellulare con CAR-T, basata sui linfociti del paziente modificati geneticamente, che ha già dimostrato di essere efficace nei tumori ematologici, anche nelle neoplasie solide”.

“Oggi circa il 75% dei pazienti adulti colpiti da tumori ematologici è guarito o ha una lunga sopravvivenza con buona qualità della vita – afferma Paolo Corradini, Presidente SIE (Società Italiana di Ematologia) -. Il nostro Paese ha contribuito in modo significativo allo sviluppo di molte terapie innovative nei tumori ematologici. Tra le terapie più promettenti vi sono le cellule CAR-T che sono rimborsate nel nostro Paese nei linfomi più aggressivi, nella leucemia linfoblastica acuta e fra poco nel mieloma multiplo, in pazienti già sottoposti a diverse linee di terapia. I vantaggi degli studi clinici non sono solo per i pazienti, infatti il Servizio Sanitario Nazionale ottiene un beneficio grazie ai costi evitati per le terapie, sostenuti dalle aziende sponsor dei trial. Questo risparmio non è palese, perché non è tracciato nella contabilità degli ospedali, ma è molto rilevante. Non solo. L’investimento dell’azienda sponsor, oltre al farmaco sperimentale e di controllo, include spesso altre prestazioni necessarie alla raccolta dei dati o alla selezione dei pazienti, come esami diagnostici, analisi di laboratorio centralizzate e test genetici. Queste prestazioni costituiscono una parte significativa del valore complessivo delle sperimentazioni: generano investimenti diretti e, potenzialmente, costi evitati per il sistema. Inoltre, determinano spesso un beneficio addizionale per il paziente, che può usufruire di prestazioni diagnostiche più frequenti e accurate oppure accedere a test genetici in grado di modificare il percorso di cura”.

“Il settore della ricerca clinica è un’eccellenza del sistema scientifico ed economico in Italia e, da decenni, è un motore di avanzamento per l’intero Paese – evidenzia Guido Rasi, Past Executive Director dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e Professore Ordinario di Microbiologia all’Università di Tor Vergata di Roma -. Questo ruolo, purtroppo, non è sempre percepito nella vastità della sua portata da tutti gli attori coinvolti e restano potenzialità inespresse. Vanno garantiti tempi e costi di avvio degli studi clinici compatibili con la competizione internazionale, capitalizzando l’esperienza maturata durante la pandemia Covid-19, e favorendo la collaborazione tra pubblico e privato”.

“È trainante il ruolo delle imprese del farmaco al finanziamento complessivo delle sperimentazioni – conclude Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC (Società Italiana di Cardiologia) -. Il sostegno pubblico in questo settore infatti è, da sempre, sottodimensionato in Italia. Inoltre, una parte della componente pubblica è comunque sostenuta attraverso contributi delle imprese agli studi indipendenti. Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza del valore della ricerca clinica da parte delle Istituzioni e dei cittadini. Ma servono più risorse pubbliche. In questo modo, l’Italia potrà aumentare la sua competitività ed attrattività come sede ottimale per lo svolgimento dei trial”.

ISS: tra 0 e 2 anni è alta l’esposizione al fumo passivo

24 marzo 2023 – Oltre il 90% delle mamme ha riferito di non aver fumato durante la gravidanza e oltre 8 su 10 di non aver consumato bevande alcoliche. Tuttavia, sono ancora troppi i bambini (38%) potenzialmente esposti a fumo passivo a causa della presenza di almeno un genitore e/o altra persona convivente fumatrice. Inoltre, se è vero che più del 90% delle mamme ha assunto acido folico in gravidanza, solo un terzo (32,1%) lo ha fatto in maniera appropriata da un mese prima del concepimento. Ancora: tra gli 11 e i 15 mesi, oltre la metà dei piccoli è esposta già a schermi, tra tv, computer, tablet o cellulari. Questi alcuni dei risultati, presentati presso l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), del Sistema di Sorveglianza 0-2 anni sui principali determinanti di salute del bambino, promosso dal ministero della Salute e coordinato dall’Iss, in collaborazione con le Regioni. In questa 2/a edizione della rilevazione sono state Intervistate oltre 35.000 mamme di bambini fino a 1.000 giorni di vita, utilizzando un questionario anonimo autocompilato presso i Centri Vaccinali tra giugno e ottobre 2022. La finalità della Sorveglianza è di produrre indicatori a livello regionale o aziendale, richiesti dall’Oms e/o dai Piani Nazionali e Regionali della Prevenzione.

“Investire nelle prime epoche della vita significa favorire ricadute positive lungo tutto l’arco dell’esistenza, non solo nel singolo ma nell’intera comunità – afferma Giovanni Capelli, Direttore del Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie dell’Iss – I risultati dell’edizione 2022 della Sorveglianza mostrano che i comportamenti favorevoli al pieno sviluppo psico-fisico dei bambini non sono sempre garantiti ed evidenziano differenze territoriali e socio-economiche meritevoli di attenzione”.

OMS: “In Europa è crisi di personale sanitario, servono maggiori investimenti”

22 marzo 2023 – La crisi del personale sanitario in Europa “non è più una minaccia incombente: è qui e ora”, a partire dalle difficili condizioni di lavoro, dall’età crescente degli operatori e dalla scarsa attrattività della sanità pubblica. L’allerta arriva dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’Europa che in un documento appena pubblicato, la Dichiarazione di Bucarest, traccia una via da seguire per fronteggiare le criticità del settore chiedendo un’azione immediata alla politica e maggiori investimenti. Adottata in occasione di un incontro regionale a Bucarest, co-organizzato da Oms-Europa e Ministero della Salute rumeno, la Dichiarazione si inserisce sullo sfondo di una grave crisi che colpisce gli operatori sanitari in tutta la regione, che ha portato anche a scioperi e azioni sindacali.

“La crisi del personale sanitario è qui e ora. Gli operatori sanitari e i lavoratori in tutta la nostra regione – afferma Hans Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa – chiedono a gran voce aiuto e sostegno. La pandemia di Covid-19 ha rivelato la fragilità dei sistemi sanitari e l’importanza di una forza lavoro sanitaria solida e resiliente. Non possiamo più aspettare per affrontare le pressanti sfide che il nostro personale sanitario deve fronteggiare. Sono in gioco la salute e il benessere delle nostre società: semplicemente non c’è tempo da perdere”. Allarmanti i dati evidenziati dall’Oms-Europa: in 13 dei 44 paesi che forniscono dati, il 40% dei medici ha già 55 anni o più, il che rappresenta una sfida significativa per la sostenibilità della forza lavoro. Allo stesso tempo, i mercati del lavoro stanno cambiando con una mobilità e una migrazione dei lavoratori sempre più complesse. Di conseguenza, alcuni paesi, afferma l’Oms, “trovano sempre più difficile attrarre e trattenere i giovani nelle professioni sanitarie e assistenziali”. La pandemia, afferma ancora l’Oms, “ha solo aggravato questi problemi, portando a stress, esaurimento e violenza tra i lavoratori, molti dei quali si sono licenziati.

Studio: rischio obesità può essere trasmesso da madre a figlia

22 marzo 2023 – Il rischio di grave eccesso di peso essere trasmesso dalle madri alle figlie femmine, ma no ai maschi.  E’ quanto evidenziato uno studio britannico condotto dall’Università di Southampton e pubblicato su Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. I ricercatori hanno misurato il grasso corporeo e la massa muscolare di 240 bambini in tre diversi momenti della loro infanzia (4 anni, 6-7 anni, 8-9 anni) e hanno confrontato questi dati con quelli relativi alla composizione corporea dei rispettivi genitori. Dall’analisi è emerso che le bambine hanno un indice di massa corporea e una massa grassa simili alla madre. Questo dato suggerisce che le figlie di donne obese o in sovrappeso hanno un maggior rischio di sviluppare la stessa condizione.

Lo studio non ha invece evidenziato correlazioni simili tra madri e figli maschi, né tra padri e figli maschi o figlie femmine. “Questi risultati dimostrano che le ragazze nate da madri obese o con elevate quantità di grasso corporeo possono avere un maggior rischio di accumulare grasso corporeo in eccesso”, afferma la prima autrice dello studio, Rebecca J. Moon. “Sono necessari ulteriori studi per capire perché questo accada, ma i nostri risultati suggeriscono che gli approcci per affrontare la questione del peso e della composizione corporea dovrebbero iniziare molto presto nella vita, in particolare nelle ragazze nate da madri con obesità e sovrappeso”.

Studio: “Per ogni dollaro speso in vaccini se ne risparmiano 44”

21 marzo 2023 – Per ogni dollaro speso in vaccini si risparmiano 16 dollari per le spese mediche e 28 dollari per costi indiretti legati alla produttività del lavoro: in totale 44 dollari. I dati di uno studio della Johns Hopkins University, che ha analizzato gli effetti degli investimenti in prevenzione sul contenimento della spesa sanitaria, sono stati presentati questa mattina a Roma in occasione di un convegno presso il Ministero della Salute.

La prevenzione vaccinale – è emerso – può e deve essere considerata un investimento poiché consente un risparmio di costi diretti e indiretti che, nel medio e lungo termine, favorisce la sostenibilità del sistema sanitario e socio-economico del Paese. Basta leggere i risultati di una ricerca di Altems che ha considerato il numero di casi per influenza, malattia pneumococcica e Herpes zoster nella popolazione italiana occupata, malattie oggi prevenibili grazie alla presenza di vaccini efficaci, che hanno un impatto annuo complessivo di circa 1,1 miliardi di euro, di cui 185 milioni relativi alla parte fiscale e 915 milioni a quella previdenziale. Tuttavia, quasi l’80% dei Paesi europei spende meno dello 0,5% della propria spesa sanitaria per i programmi di immunizzazione; escludendo i vaccini contro il Covid-19 che ad oggi, anche in Italia, dispongono di un fondo dedicato. Per raggiungere gli obiettivi di copertura prefissati dal Pnpv (Piano nazionale di prevenzione vaccinale) – è stato ribadito – solo per queste tre vaccinazioni bisognerebbe investire il 229% in più, ovvero 2,4 miliardi di euro, senza considerare i soggetti cronici e immuno-compromessi che sono fortemente raccomandati alla vaccinazione, ma per i quali il piano non fissa obiettivi di copertura. L’attenzione ai vaccini, con particolare riguardo alla popolazione sopra i 60 anni e nei soggetti immunodepressi, va quindi oltre il Covid e l’influenza. Ci sono infatti alcune infezioni virali e batteriche che possono essere prevenute efficacemente. I vaccini contro pneumococco, antimeningococco e Herpes zoster rappresentano una grande opportunità contro patologie dalle gravi conseguenze e, inoltre, intervenire nella limitazione di queste infezioni può costituire un’arma in più nella lotta all’antibiotico-resistenza che rappresenta la minaccia più significativa dei prossimi decenni.

La pandemia ha ridotto del 10% i nostri passi quotidiani

20 marzo 2023 – La pandemia da Covid-19 ci ha fatto diventare più sedentari. Uno studio, pubblicato sulla rivista Jama, Network Open stima che con la pandemia si è ridotto mediamente del 10% il numero di passi giornalieri, ovvero vi è stato un calo consistente, diffuso e significativo dell’attività fisica. Condotto da Evan Brittain, della Vanderbilt University, la ricerca mostra che a ridurre maggiormente l’attività fisica sono stati i gruppi vulnerabili, tra cui gli individui con uno status socioeconomico più basso e quelli che lamentavano un livello peggiore di salute mentale nel periodo iniziale del Covid.

La pandemia ha avuto un impatto globale sulla salute fisica, mentale e sociale. I dati raccolti all’inizio della pandemia hanno suggerito un calo generale del numero di passi in tutto il mondo, ma i fattori che contribuiscono alla riduzione dell’attività non sono stati identificati. Gli esperti hanno coinvolto nello studio 5443 individui che dal 2018 indossavano un contapassi per almeno 10 giorni al mese. È emerso che in un periodo pre-pandemico i passi medi giornalieri erano 7808, scesi a 7089 persistentemente, nei due anni e mezzo di pandemia (fino al 31 dicembre del 2021), anche dopo che le restrizioni agli spostamenti sono venute meno. “Abbiamo riscontrato un calo significativo nel conteggio dei passi giornalieri che si è protratto anche dopo l’allentamento della maggior parte delle restrizioni legate al Covid, suggerendo che la pandemia ha influenzato le scelte comportamentali a lungo termine – scrivono gli autori -. Al momento non è chiaro se questa riduzione dei passi sia significativa nel tempo dal punto di vista clinico”, concludono, ovvero se si traduca in un qualche problema di salute.

EUROSTAT: in UE si riduce di oltre un anno l’aspettativa di vita

17 marzo 2023 – Nell’Unione Europea la durata di vita al momento della nascita 80 anni e un mese. L’aspettativa di vita nel 2021 nel Vecchio Continente si è quindi ridotta di oltre un anno. E’ quanto emerge dagli ultimi dati resi pubblici dall’EUROSTAT.

Nel 2019 l’indice di longevità aveva raggiunto gli 81 anni e quattro mesi, per poi conoscere un’inversione di tendenza nel 2020 a 80 anni e cinque mesi per poi diminuire ulteriormente nel 2021, ultimo anno di cui l’istituto di statistica europeo dispone informazioni. Questa riduzione nelle aspettative di vita, azzarda l’organismo di Lussemburgo, si deve “probabilmente a causa del repentino aumento della mortalità a causa della pandemia di COVID -19“. In questa tendenza generale, uomini e donne vengono toccati in modo analogo. Nel 2021 l‘aspettativa di vita delle donne (82 anni e 11 mesi) ha continuato ad essere superiore a quella degli uomini (77 anni e 2 mesi) 2021, con entrambe le categorie ad che hanno registrato ulteriori diminuzioni a seguito di un calo maggiore dal 2019 al 2020. “Rispetto al 2020, l’aspettativa di vita sia per le donne che per gli uomini è diminuita di circa quattro mesi”, rileva ancora Eurostat. Spagna, Francia e Italia gli Stati membri dell’Ue dove si concentrano le regioni dove si vive più a lungo. Le province autonome di Trento (84 anni e 4 mesi) e Bolzano (83 anni e 10 mesi) tra le prime dieci regioni europee per maggiore aspettativa, ma a livello Paese ci sono altre otto regioni dove chi nasce può aspettarsi di vivere, in media, almeno 83 anni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Toscana, Umbria e Veneto). La Campania è il luogo dove si vive meno, ma comunque più della media europea: 80 anni e 11 mesi.

Tumori, l’impegno del ministro Schillaci e sen. Minasi “Equità di cura per tutti contro le disparità regionali”

Equità di cure contro le disparità regionali, spinta all’innovazione, impegno per la ricerca e la prevenzione con grande determinazione per l’incremento degli screening oncologici. Questi gli impegni presi dal Ministro della Salute Orazio Schillaci e dall’Intergruppo Parlamentare “Oncologia, prevenzione, ricerca e innovazione”, ieri pomeriggio nel corso della riunione dell’Intergruppo Parlamentare presieduto dalla Senatrice Tilde Minasi. Il Ministro è stato chiamato in audizione perché – come ha spiegato la Sen. Minasi – l’obiettivo è “trovare soluzioni organiche e non frammentarie nella lotta ai tumori”. Nel suo intervento Schillaci ha ricordato l’impegno per i follow-up e le visite saltate a causa del covid. “Abbiamo recuperato 350 milioni nel Milleproroghe per abbattere le liste d’attesa, e stiamo pensando ad interventi a favore dei medici, anche per combattere il fenomeno dei gettonisti che va fortemente contenuto”. Per il Ministro, i ricercatori italiani in campo oncologico sono all’avanguardia nel mondo, e qui gioca un ruolo importante l’innovazione (“un esempio per tutti l’immunoterapia nelle forme avanzate di melanoma che ha portato alla guarigione di migliaia di pazienti”). “Ma per incrementare le prestazioni è necessario puntare – ha aggiunto il Ministro – a digitalizzazione e telemedicina in una visione one health a 360 gradi”.

Nel dibattito sono intervenuti fra gli altri Saverio Cinieri, presidente di AIOM, Francesco Cognetti presidente di FOCE, Rossana BerardiRosanna D’Antona presidente di Europa Donna. Tutti membri dell’Intergruppo che sempre ieri ha nominato il proprio Ufficio di Presidenza, che appare così composto: Presidente Sen. Tilde Minasi, Vicepresidente Deputata Simona Loizzo (parlamentare) e Roberto Messina (laico), Segretari: Deputata Gaetana Russo (parlamentare) e Mauro Boldrini (laico). “Siamo molto soddisfatti di questa prima riunione – ha concluso la Sen. Minasi – l’impegno dell’Intergruppo è forte perché rappresenta un’unione pressoché unica di parlamentari e rappresentanti delle Comunità scientifiche e dei pazienti. La nomina di due membri laici nell’Ufficio di Presidenza come Roberto Messina, presidente di Senior Federanziani come vicepresidente, e Mauro Boldrini, direttore della comunicazione AIOM come segretario, rappresentano un forte link fra Istituzioni, clinici e pazienti, che ci farà ben operare a tutto vantaggio dei malati”.

Tumori: la discussione multidisciplinare della profilazione estesa modifica la cura in un terzo dei pazienti

Roma, 15 marzo 2023 – La discussione multidisciplinare della profilazione genomica estesa da parte del Molecular Tumor Board (MTB) consente di modificare il trattamento scelto in circa un terzo dei pazienti colpiti da tumore metastatico. In questo modo è possibile garantire ai malati le migliori opportunità di cura. Non solo. Il 10% dei pazienti ha avuto indicazione a un test genetico per valutare il rischio eredo-familiare di contrarre un tumore e un altro 10% ha avuto accesso ad altri studi clinici con farmaci non disponibili nel “Rome Trial”, studio clinico i cui risultati preliminari, a due anni dall’inizio, sono stati presentati al Congresso TAT (Targeted Anticancer Therapies) della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), che si è svolto recentemente a Parigi. “Sono stati coinvolti 1319 pazienti, ne sono stati selezionati 721 (55%) perché portatori di alterazioni genomiche rilevanti e, nel 24% dei casi, sono state scoperte mutazioni genomiche suscettibili di trattamento con farmaci a bersaglio molecolare – afferma Paolo Marchetti, Direttore Scientifico IDI di Roma, Professore Ordinario f.r. di Oncologia all’Università La Sapienza di Roma e Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata -. In alcuni casi sono emerse alterazioni a livello germinale, cioè trasmesse ereditariamente, consentendo così di aprire un ombrello protettivo anche sugli altri componenti della famiglia grazie all’avvio di un percorso di consulenza oncogenetica. In altri casi, il Molecular Tumor Board ha suggerito di modificare la terapia standard originariamente scelta, in presenza di alterazioni genomiche di resistenza alla terapia definita dall’oncologo curante. La profilazione genomica estesa pertanto è utile non solo per identificare un maggior numero di bersagli molecolari a cui associare una terapia specifica, ma anche per ottenere una conoscenza più ampia dei possibili meccanismi di resistenza, di fragilità familiare o di inefficacia della terapia standard per la presenza di modificazioni genomiche importanti”. Lo studio “Rome Trial” è promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Università di Roma La Sapienza e dalla Fondazione per la Medicina Personalizzata. Sono stati coinvolti fino ad oggi 1319 pazienti colpiti da tumori in fase metastatica della mammella, gastrointestinali, polmone e di altro tipo. “I risultati preliminari – continua il Prof. Marchetti – dimostrano che un’ampia profilazione genomica all’interno di uno specifico Molecular Tumor Board, cioè un gruppo multidisciplinare, determina vantaggi significativi per quei pazienti con tumore metastatico che possono ricorrere a farmaci biologici o all’immunoterapia, indipendentemente dalla sede iniziale della neoplasia. La discussione multidisciplinare nell’ambito del Molecular Tumor Board è fondamentale per questi pazienti. Va proprio in questa direzione, cioè garantire sempre migliori opportunità di cura in un percorso ‘controllato’, il Decreto ministeriale per l’istituzione dei Molecular Tumor Board nelle Regioni e l’individuazione dei Centri specialistici per l’esecuzione dei test NGS, in attesa di approvazione da parte della Conferenza Stato Regioni. Uno straordinario strumento normativo per la crescita clinica e culturale di cui si è dotato il Paese”. Il provvedimento recepisce il documento tecnico trasmesso dall’AGENAS e definisce criteri e procedure per l’istituzione dei MTB nell’ambito delle reti oncologiche regionali con l’individuazione dei Centri di profilazione genomica.

“Nella profilazione estesa – spiega Andrea Botticelli, Principal Investigator del ‘Rome Trial’ e ricercatore all’Università La Sapienza di Roma – non utilizziamo piccoli pannelli NGS per vedere otto o dieci mutazioni, utilissime nel modello istologico per fornire informazioni relative all’impiego di farmaci già approvati da AIFA o disponibili con diverse modalità non a carico del Servizio Sanitario Nazionale, ma gratuite per i pazienti. Svolgiamo una ricerca più ampia e riusciamo ad analizzare oltre 300/500 geni significativi nella evoluzione della neoplasia. La profilazione estesa oggi può essere svolta in diversi Centri del nostro Paese ed è effettuata nei pazienti oncologici metastatici che hanno affrontato non più di due linee di trattamento”.
“Nel modello istologico, che per decenni ha governato la ricerca in oncologia, le decisioni regolatorie e la pratica clinica – sottolinea il Prof. Marchetti -, il punto di partenza è rappresentato dalla localizzazione del tumore, a cui seguono l’esame istologico, l’identificazione di un bersaglio molecolare predittivo di risposta, la scelta del farmaco e la prescrizione al paziente, basandosi su robuste evidenze derivanti dagli studi clinici. L’approvazione di molecole con indicazione agnostica, cioè indipendente dal tessuto di origine della neoplasia, ha rappresentato un ulteriore progresso nella utilizzazione della profilazione genomica. Il passo successivo della ricerca è rivolto allo studio di un nuovo modello, definito mutazionale. Il punto chiave del nuovo processo è rappresentato proprio dalla profilazione genomica, cioè dall’individuazione delle mutazioni che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle neoplasie. Da qui deriva la scelta del farmaco e l’indicazione terapeutica, indipendentemente dalla sede del tumore. Questo modello, a differenza dei due precedenti, non è basato su studi clinici che hanno già dimostrato l’efficacia di un determinato trattamento in presenza di una specifica mutazione genomica, ma è rivolto a valutare, in un complesso percorso di studio, quanto la discussione in un MTB dei dati derivati dalla profilazione estesa può aiutare il singolo paziente (e non un gruppo di pazienti) che presentano una certa mutazione. Il ‘Rome Trial’ si colloca all’interno del modello mutazionale. Mentre in letteratura viene stimato che circa il 35% dei pazienti presenta una mutazione che teoricamente può essere il presupposto per l’impiego di una specifica terapia a bersaglio molecolare, nel ‘Rome Trial’ questa percentuale è inferiore, pari al 28%, proprio perché abbiamo compreso che alcuni pazienti, pur presentando un possibile bersaglio molecolare, sono caratterizzati da alterazioni aggiuntive che rendono del tutto improbabile la risposta a una terapia mirata sul bersaglio molecolare”.
Jordi Rodon, oncologo dell’MD Anderson Cancer Center di Houston, commentando il Rome trial nella sua presentazione all’ESMO Targeted Anticancer Therapies Congress, ha affermato: “A chi interessa il ‘Rome Trial’? A tutti coloro che hanno a cuore la medicina personalizzata”.
“Ringraziamo i membri del Comitato scientifico, del Molecular Tumor Board e dei 41 centri che hanno aderito al ‘Rome Trial’ per il lavoro straordinario realizzato e le centinaia di pazienti che hanno voluto aderire a questo progetto nazionale, attraverso cui è stata aperta una nuova strada della ricerca, che sarà approfondita da un’altra sperimentazione, ‘Beyond the Rome Trial’, con cui vogliamo definire percorsi innovativi”, conclude il prof. Marchetti.

 

Tumori: “Sono 149 i centri di ricerca in Italia, più della metà al nord i nostri studi all’avanguardia, ma servono risorse e personale”

In Italia sono 149 i centri censiti che conducono ricerche cliniche in oncologia. Il 91% ha una radiologia accreditata in sede, il 76% è dotato di un’anatomia patologica e il 68% di un laboratorio di biologia molecolare, aspetto molto importante per il ruolo centrale della medicina di precisione. Quasi la metà dei centri (69) svolge un buon numero di sperimentazioni ogni anno, compreso fra 10 e 40, e 29 strutture superano i 40 trial. Restano però forti criticità nella disponibilità di personale e di una solida infrastruttura, indispensabili per garantire la qualità degli studi: il 67% (100 centri) è privo di un bioinformatico, il 48% (72) non può contare sul supporto statistico. E sono troppo pochi i coordinatori di ricerca clinica (data manager) strutturati, i ricercatori e gli infermieri di ricerca. Sono carenti anche le strutture informatiche disponibili, infatti solo il 40% può utilizzare un sistema di elaborazione di dati. Inoltre, vi sono forti differenze territoriali, perché oltre la metà delle strutture di ricerca in oncologia (78 su 149) si trova al Nord, 38 al Centro e solo 33 al Sud. La fotografia è scattata dal primo “Annuario dei Centri di Ricerca Oncologica in Italia”, promosso dalla Federation of Italian Cooperative Oncology Groups (FICOG) e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), un vero e proprio censimento delle strutture che realizzano sperimentazioni sui tumori nel nostro Paese, presentato oggi al Ministero della Salute. Il 14 marzo è la prima Giornata Nazionale dei Gruppi Cooperativi per la Ricerca in Oncologia, promossa da FICOG, un evento che si celebrerà ogni anno per sensibilizzare i cittadini sull’importanza dei trial clinici indipendenti.

“Con questo volume offriamo alle Istituzioni uno strumento concreto per l’individuazione dei centri che possono rispondere ai nuovi requisiti stabiliti dal Regolamento europeo 536 del 2014 sulle sperimentazioni cliniche – afferma Carmine Pinto, Presidente FICOG -. Gli studi condotti in Italia hanno cambiato la pratica clinica a livello nazionale e internazionale in diversi tipi di tumori, portando alla modifica di linee guida e raccomandazioni. Ma servono personale, infrastrutture digitali, risorse economiche e organizzative. Il finanziamento pubblico in questo settore è, da sempre, sottodimensionato nel nostro Paese. Siamo agli ultimi posti in Europa per finanziamenti. Se la ricerca è centrale per lo sviluppo e l’innovazione, allora è indispensabile definire e attuare una strategia unitaria e un piano nazionale. Non è più procrastinabile la realizzazione della Rete Nazionale per la Ricerca Clinica, fondamentale anche per attrarre investimenti privati. La programmazione va declinata anche a livello locale, con la piena istituzione delle Reti Oncologiche Regionali, che possono promuovere e facilitare le sperimentazioni da un punto di vista progettuale, gestionale e amministrativo. In questo modo potranno essere colmate le differenze territoriali, che vedono la maggior parte dei centri al Nord”. La Regione che vanta più strutture è la Lombardia (28), seguita da Lazio (18), Piemonte (15), Veneto (14) ed Emilia-Romagna (13). I tumori su cui si concentra il maggior numero di sperimentazioni sono quelli mammari, gastro-intestinali, toracici, urologici e ginecologici.

“La produzione scientifica italiana è all’avanguardia in molti ambiti e i riconoscimenti alle nostre Scuole a livello internazionale sono molteplici – spiega il Ministro della Salute, Prof. Orazio Schillaci, nella prefazione del libro -. Mai come adesso siamo consapevoli dell’eccellenza delle ricercatrici e dei ricercatori italiani e, da anni, in Italia, sono attivi i Gruppi cooperativi che hanno proprio il compito di sviluppare la ricerca clinica nei diversi settori e hanno prodotto lavori divenuti pietre miliari dell’Oncologia Medica a livello mondiale. Da medico e da Ministro della Salute, ritengo fondamentale porre la ricerca al centro delle politiche sanitarie e delle attività del Servizio Sanitario Nazionale, al fine di rilanciare la sanità nel suo complesso e assicurare le migliori opportunità terapeutiche ai cittadini. Adeguatamente supportata attraverso iniziative di sostegno alla ricerca, l’oncologia medica può costituire un motore di sviluppo non solo scientifico, ma anche economico e sociale”. Nel 2022, in Italia, sono state stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro. In due anni, l’incremento è stato di 14.100 casi.

“Quasi il 40% delle sperimentazioni condotte nel nostro Paese riguarda l’Oncologia – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM -. La gestione dei trial clinici sta diventando sempre più complessa e richiede competenze specifiche e multidisciplinari. È importante disporre di diverse figure professionali, come i coordinatori di ricerca clinica, cioè i data manager, gli infermieri di ricerca, i biostatistici, gli esperti in revisione di budget e contratti. In particolare, i coordinatori di ricerca clinica sono figure fondamentali, perché deputate alla gestione dei dati all’interno delle sperimentazioni. Dove sono presenti, si registra un importante aumento delle performance del centro, che si traduce nell’arruolamento dei pazienti, in alti standard qualitativi, nella salvaguardia del benessere delle persone negli studi e nell’ottimizzazione dei processi. Però un vuoto normativo non permette di strutturarli all’interno dei team, limitando il loro impiego con contratti libero professionali, borse di studio e assegni di ricerca”. “Assistiamo, quindi, a una costante migrazione di personale esperto e qualificato verso aziende farmaceutiche e organizzazioni di ricerca a contratto – continua il Prof. Cinieri -. È indispensabile individuare, con l’aiuto delle Istituzioni, un percorso legislativo per il riconoscimento dei data manager”.

Il Regolamento europeo 536 del 2014 ha armonizzato il processo di valutazione e autorizzazione di uno studio clinico condotto in più Stati membri. E l’Italia si è finalmente adeguata alla normativa comunitaria, grazie ai quattro decreti firmati dal Ministro della Salute (pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 31 del 7 febbraio 2023). “Il Regolamento europeo rappresenta un’ottima opportunità per superare le attuali criticità – continua il Prof. Pinto -. Standardizza e semplifica la ricerca clinica ma, al tempo stesso, garantisce la qualità degli studi e la partecipazione dei pazienti. Dal nostro censimento emerge come il tempo medio di valutazione di uno studio da parte del Comitato Etico sia, nella maggior parte dei casi (68%), di 4-8 settimane. È compreso fra uno e due mesi anche il tempo medio richiesto per la firma del contratto. Il Regolamento europeo porterà a velocizzare le procedure autorizzative e ad eliminare vincoli burocratici e richieste di documentazione spesso eterogenee e ridondanti”.

“La partecipazione diretta delle associazioni dei pazienti nelle attività di ricerca promosse dalla Commissione Europea rappresenta oggi una realtà – sottolinea Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) -. Inoltre, è recente l’approvazione all’unanimità da parte della Camera dei Deputati di una mozione in cui è raccomandato al Governo di coinvolgere e ascoltare i pazienti continuativamente sin dalle prime fasi dei processi decisionali: dalle sperimentazioni, alle gare, ai comitati etici, alla programmazione. Considerato che la ricerca clinica deve essere ‘patient centred’, la mozione impegna l’Esecutivo a prevedere nei bandi di ricerca nazionali quanto già previsto dalla Commissione Europea, ossia considerare valore aggiunto la collaborazione delle associazioni dei pazienti alla co-progettazione e gestione dei progetti”. “Il legislatore, pertanto, deve adeguare la normativa a quanto stabilito a livello europeo – continua Francesco De Lorenzo -. Finora le associazioni hanno collaborato perché coinvolte dagli oncologi, che ringraziamo, ma serve una iniziativa legislativa specifica. Vanno inoltre superati i pregiudizi ancora presenti per la partecipazione agli studi clinici, che consentono di accedere, anche anni prima dell’immissione in commercio, a una terapia innovativa e contribuire alla disponibilità della cura per altri pazienti colpiti dalla stessa neoplasia”.

Oggi al Ministero della Salute è presentato lo spot, che è parte della campagna di sensibilizzazione “Lo sai quanto è importante?” e che sarà diffuso nei social network e in Tv. “È indispensabile promuovere una corretta informazione e partecipazione – conclude il prof. Pinto -. Ci rivolgiamo direttamente ai cittadini per comunicare il valore della ricerca ed il suo ruolo imprescindibile per i progressi nelle conoscenze e nelle strategie di controllo e cura dei tumori. Soprattutto grazie alla ricerca, oggi il 60% dei pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi e un milione di persone può essere considerato guarito”.