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Tumori: pochi screening e più diagnosi in stadi avanzati negli immigrati

Isola di San Servolo (Venezia), 27 settembre 2024 – Barriere linguistiche e problemi burocratici ostacolano l’accesso alla prevenzione oncologica degli immigrati. E troppe diagnosi avvengono in fase avanzata. Ad esempio, il 39% delle donne immigrate non esegue la mammografia (rispetto al 27% delle italiane), con la conseguenza che, in questa popolazione, il carcinoma mammario è diagnosticato in stadio precoce (I-II) in circa l’80% dei casi, rispetto a quasi il 90% nelle italiane. Problemi che sono avvertiti anche dagli oncologi: sei su 10 ritengono che la gestione dei pazienti extracomunitari sia complessa e il 91% è preoccupato di non poter comunicare adeguatamente con questi malati. Solo 4 su 10, infatti, hanno il supporto di un mediatore culturale durante la prima visita. Per l’81% la prognosi oncologica nei migranti è diversa (peggiore) rispetto ai risultati raggiunti nella popolazione residente e per l’86% questo è dovuto alle disparità di accesso alle cure in modo tempestivo. Sono i principali risultati del sondaggio promosso dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) per analizzare il livello di conoscenza degli specialisti sull’assistenza degli stranieri nel nostro Paese, presentati nel Convegno Nazionale “Oncologia e immigrazione”, al centro delle “Giornate dell’etica”, organizzate dalla società scientifica e da Fondazione AIOM, che si aprono oggi all’Isola di San Servolo (Venezia).

“È fuor di dubbio che ovunque nel mondo si registri frequentemente una condizione di disparità nella prevenzione, nella tempestività degli interventi terapeutici, nell’adeguato accesso alle cure – afferma il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un videomessaggio inviato agli oncologi AIOM riuniti a San Servolo -. La scelta di sviluppare una riflessione volta a valutare con rigore scientifico l’incidenza delle malattie oncologiche sulle persone immigrate e a rendere migliore la loro possibilità di accesso alle cure esprime una preziosa, e in realtà naturale, volontà di porre la persona, qualunque persona, al centro della riflessione e dell’azione sanitaria. A questo primario dovere di alto valore morale si affianca la ricaduta positiva per l’intera popolazione del nostro Paese in conseguenza delle conoscenze acquisite sulla condizione di questa parte delle persone che vivono in Italia”.
“Già nel 2020, l’allora Presidente AIOM, Giordano Beretta, decise di organizzare questo evento che, però, venne posticipato a causa della pandemia – spiega Francesco Perrone, Presidente AIOM -. Il Convegno è stato fortemente voluto dal Direttivo AIOM e rappresenta un’attività necessaria e naturale. Come evidenziato dal Presidente Mattarella, il tema delle cure oncologiche agli immigrati pone in evidenza l’intensa e irrinunciabile connessione tra medicina, profili etici e risvolti sociali. Vogliamo portare alla luce un fenomeno che riguarda tutti, ma ci trova impreparati. L’80% degli oncologi, infatti, ritiene di avere solo parzialmente o di essere del tutto privo di strumenti adeguati per la gestione del paziente immigrato colpito dal cancro. Al termine delle ‘Giornate dell’etica’ pubblicheremo un documento, uno statement, con proposte operative da proporre alle Istituzioni”.
“Le difficoltà comunicative ostacolano l’accesso alle cure e agli strumenti di prevenzione e hanno un peso rilevante nella gestione della malattia negli stranieri – afferma Antonella Brunello, membro del Direttivo Nazionale AIOM -. Basta pensare che solo il 40% degli oncologi, in occasione della prima visita oncologica di un paziente con barriera linguistica, ha la possibilità di avere un mediatore culturale: il 27% in presenza e il 13% al telefono. Gli ostacoli principali nella presa in carico di un paziente extracomunitario sono costituiti dalla difficoltà nella comprensione del percorso oncologico e nella comunicazione della diagnosi, dalla mancanza di un caregiver perché spesso si tratta di persone sole e da problemi nella prescrivibilità di farmaci”.
La popolazione residente di cittadinanza straniera (al 1° gennaio 2024) è di 5 milioni e 308mila unità, in aumento di 166mila individui (+3,2%) sull’anno precedente. L’incidenza sulla popolazione totale tocca il 9%. Il 58,6% degli stranieri, pari a 3 milioni 109mila unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11,3%.
“Oltre che nella società è sempre più rilevante la loro presenza anche nei reparti di Oncologia Medica – sottolinea Tiziana Latiano, membro del Direttivo Nazionale AIOM -. Siamo di fronte a un problema etico e non bisogna distinguere fra immigrati regolari e irregolari. Spesso curiamo immigrati regolari, che però non parlano italiano, per cui la barriera linguistica resta insuperabile. In questi casi, se non si riesce a comunicare, l’assistenza diventa qualitativamente diversa, anche se possiamo offrire le stesse terapie garantite ai pazienti italiani. Senza un mediatore culturale, molte fasi della malattia oncologica non possono essere gestite nello stesso modo in cui avviene per i pazienti privi di barriere linguistiche”. “Gli immigrati presenti, anche temporaneamente, sul nostro territorio hanno il diritto di accedere alle strutture sanitarie – spiega Filippo Pietrantonio, membro del Direttivo Nazionale AIOM -. Il riconoscimento formale però non sempre corrisponde ad una vera presa in carico per le difficoltà culturali, burocratiche, amministrative, di informazione, che rendono particolarmente difficile per gli immigrati l’accesso alle cure. Queste persone troppo spesso arrivano alla diagnosi quando il cancro è già in uno stadio avanzato, a causa di scarsa prevenzione ed informazione. Va poi considerato il dramma dell’immigrazione irregolare, che non riesce ad accedere ad alcun tipo di controllo preventivo”.
Alle “Giornate dell’etica” sono presentati da Manuel Zorzi (Direttore del Servizio Epidemiologico Regionale di Azienda Zero, Registro Tumori del Veneto) i risultati di uno studio sull’incidenza dei tumori nella popolazione immigrata in Veneto. Sono state considerate circa 4 milioni di persone dai 20 anni in su nel quinquennio 2015-2019, di cui 470mila provenienti da Paesi a forte pressione migratoria come Europa Orientale, Asia, Africa, America centro-meridionale. Gli stranieri provenienti da questi Paesi sono molto più giovani degli italiani e hanno un’età media di 40 anni (gli over 60 sono solo il 10%). L’incidenza dei tumori nei migranti è risultata significativamente inferiore (-26% nei maschi e -20% nelle femmine) rispetto a quanto osservato negli italiani. In particolare, il rischio di sviluppare la neoplasia della mammella è inferiore del 37% e il cancro della prostata del 29%.
“Nelle donne immigrate sono molto più diffusi i fattori protettivi nei confronti del carcinoma mammario, come la prima gravidanza in giovane età, un numero elevato di figli e l’allattamento al seno – afferma Alessandra Fabi, membro del Direttivo Nazionale AIOM -. Per quanto riguarda il tumore della prostata, la maggior incidenza negli uomini italiani deriva da un eccessivo ricorso al test del Psa, che porta a un numero consistente di sovradiagnosi, cioè all’identificazione di tumori molto piccoli, in prospettiva indolenti, che non avrebbero dato segno di sé in assenza di diagnosi”.
Il tumore della cervice uterina, che fra le italiane sta diventando un tumore raro grazie alla diffusione dello screening con il Pap Test e l’HPV test, presenta invece un’incidenza doppia fra le straniere. Negli ultimi 3-5 anni, il 78% delle donne italiane ha eseguito lo screening cervicale (all’interno di programmi organizzati o per iniziativa personale), questo valore si ferma al 67% nelle straniere.
“Nei migranti il tasso di partecipazione agli screening è significativamente più basso – continua il Presidente Perrone -. Non dobbiamo dimenticare la resistenza rappresentata dall’imbarazzo, dalla scarsa informazione, dal pregiudizio di gran parte della popolazione immigrata, che considera una violazione l’esplorazione del proprio corpo. Il Piano Oncologico Nazionale 2023-2027 riconosce al migrante lo status di fragile e identifica, tra gli obiettivi strategici, l’aumento della copertura vaccinale e l’adesione consapevole alle campagne di screening. Serve un Piano della Prevenzione che consideri le diversità dei migranti”.
“Nel 2023, AIOM ha costruito un ponte della ricerca con il Perù e il Sud America, condividendo le linee guida sui principali big killer. L’obiettivo è stato promuovere anche in questi Paesi l’oncologia di precisione – conclude Saverio Cinieri, Presidente Fondazione AIOM -. Nel 2025, una delegazione di Fondazione AIOM andrà in Tanzania, all’Ospedale Bugando Medical Center di Mwanza. L’Oncologia medica in questa città è operativa dal 1999, grazie a un’iniziativa del Prof. Dino Amadori, Past President AIOM. In questi anni la nostra società scientifica ha svolto un ruolo importante nella crescita culturale dei professionisti in Tanzania, attraverso il contatto diretto con oncologi italiani al Bugando Medical Center e grazie alla loro frequenza periodica in centri del nostro Paese. Una collaborazione che ha portato, nel 2022, all’inaugurazione del Mwanza Cancer Center. Vogliamo continuare a sostenere l’attività clinica e promuovere la ricerca scientifica, intensificando i rapporti con i professionisti tanzaniani”.

 

 

 

 

AIFA: poche reazioni avverse ai vaccini (-39%) e il 93% è lieve

I vaccini si confermano tra i prodotti farmaceutici più sicuri. Nel 2022, con circa 19 milioni di dosi di vaccino somministrate, il sistema di sorveglianza dell’Agenzia Italiana del Farmaco, ha raccolto poco più di 9 mila segnalazioni di sospette reazioni avverse (47,8 segnalazioni ogni 100 mila dosi somministrate), con un calo del 39% rispetto all’anno precedente.

Oltre il 93,5% delle sospette reazioni sono di lieve entità mentre quelle gravi sono appena lo 0,003%. È escluso inoltre il legame con decessi. Sono i dati salienti di un dossier dell’Agenzia Italiana del Farmaco pubblicato questa mattina che confermano la sicurezza dei vaccini. Il rapporto mostra che la gran parte (93,5%) degli eventi avversi collegati ai vaccini sono di lieve entità: febbre, reazioni locali nella sede di iniezione; pianto; irritabilità, nervosismo e irrequietezza; diarrea, vomito e mal di pancia; reazioni cutanee generalizzate, esantemi, orticaria; sonnolenza, mal di testa, convulsioni. Il rimanente 6,5% è classificato come reazione grave, con un 1,6% che ha richiesto il ricovero. Gli effetti collaterali, tendono inoltre a risolversi in poco tempo: al momento della segnalazione il 78% dei sospetti aventi avversi si era già risolto senza nessuna conseguenza, l’8% era in miglioramento e lo 0,7% era in fase di guarigione con postumi.  Vi è però un 3% che non era ancora guarito, mentre per un rimanente 10% non era stato riportato l’esito. Tra le segnalazioni, il dossier rileva anche 7 decessi dopo la somministrazione del vaccino: “In nessun caso le informazioni disponibili consentivano di individuare la causa del decesso nel vaccino”, precisa l’Aifa, che ricorda che la “valutazione della relazione causale tra un evento avverso e la somministrazione di un vaccino, è una procedura alquanto complessa”: “non è sufficiente, infatti, che l’evento si verifichi dopo la vaccinazione ma devono essere considerate anche altre possibilità”.

Medicina: Long Covid in bambini può durare 3 anni e impedire ritorno a normalità

Da uno studio internazionale su 1.300 pazienti in età pediatrica, pubblicato su ‘eClinical Medicine’ (gruppo ‘The Lancet’) e coordinato dai pediatri di Fondazione Policlinico Gemelli Irccs-Università Cattolica del Sacro Cuore, emergono nuove evidenze sulle conseguenze dell’infezione da Sars-CoV-2 nei bambini e nei ragazzi. In alcuni, il “Long Covid può durare fino a tre anni con conseguenze sulla vita scolastica e sulle attività abituali. I vaccini sembrano avere un effetto protettivo (ma dipende dal numero di dosi somministrate e dall’età dei pazienti) sul Long Covid, sulle reinfezioni e sulle complicanze autoimmuni di questa malattia”. Condotto su circa 1.300 pazienti di età compresa tra 0 e 18 anni, seguiti presso l’ambulatorio del Post-Covid pediatrico del Gemelli.

La ricerca si è focalizzata sui casi di Long Covid pediatrico comparsi dopo la prima infezione o dopo le reinfezioni e sulla loro durata. Obiettivo del lavoro era “descrivere le caratteristiche del Long Covid nei pazienti in età pediatrica, di valutare la presenza di fattori in grado di predire il rischio di sviluppare Long Covid e di valutare il ruolo del vaccino nel prevenire il Long Covid, il rischio di reinfezioni o la comparsa di malattie autoimmuni”. “In questo lavoro – commenta Danilo Buonsenso, corresponding author, docente di Pediatria all’Università Cattolica e dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs – abbiamo documentato l’andamento dell’infezione da Sars-CoV-2 in età pediatrica fino a trentasei mesi successivi alla prima infezione”. ‘Il vaccino è in grado di proteggere anche dal dopo fase acuta dell’infezione’.

“Sul fronte Long Covid – prosegue Buonsenso – abbiamo confermato i dati dei nostri precedenti studi, aggiungendo però nuove informazioni. Da questa nuova ricerca infatti emerge che, sebbene la maggior parte dei pazienti guarisca dal Covid-19, alcuni continuano a presentare sintomi ascrivibili al Long Covid, fino a 3 anni di distanza dall’infezione iniziale. Questo conferma l’importanza delle potenziali conseguenze di questo virus nei bambini. Molti di quelli seguiti per 3 anni dopo l’infezione iniziale non sono riusciti a riprendere la routine di tutti i giorni, con conseguenze negative sulla capacità di frequentare regolarmente la scuola o di svolgere le classiche attività extra-scolastiche, a causa dei sintomi debilitanti riportati”. Il Covid, insomma, può avere conseguenze importanti e durature anche sui più piccoli. Ma il vaccino è in grado di proteggere anche dal ‘dopo’ fase acuta dell’infezione e cioè dal Long Covid e dalle altre complicanze? “Nel nostro studio – spiega Buonsenso – la vaccinazione si è dimostrata un fattore protettivo contro il Long Covid anche se, come abbiamo evidenziato, questo effetto ‘scudo’ varia a seconda del numero di dosi ricevute o dall’età del paziente e questo aggiunge ulteriori informazioni e offre materia di riflessione, rispetto a quanto noto finora”. Un altro dato emerso dallo studio è che il rischio di presentare una forma grave di Covid-19, nel caso di una reinfezione che compaia nei 24-36 mesi successivi alla prima infezione, è estremamente basso. “Va detto tuttavia – rimarca il pediatra – che, anche se raro, è possibile sviluppare il Long Covid anche a seguito di una reinfezione. Inoltre, i bambini con Long Covid sono a maggior rischio di presentare infezioni sintomatiche”. Come già evidenziato negli adulti infine, dallo studio pubblicato su ‘eClinical Medicine’ emerge anche che l’infezione dovuta al virus originale è risultata associata a un rischio maggiore di sviluppare malattie autoimmuni, nei mesi successivi all’infezione acuta

Cancro al seno, 200 sostanze a rischio negli imballaggi alimentari: lo studio

“Quasi 200 sostanze a rischio per il cancro al seno” si nascondono nei materiali a contatto con gli alimenti. Imballaggi di plastica, carta o cartone, che possono rappresentare il veicolo di “un’esposizione diffusa” a composti potenzialmente cancerogeni, “nonostante la regolamentazione esistente”. E’ la conclusione di uno studio condotto dai ricercatori del Food Packaging Forum (Fpf), un’organizzazione senza scopo di lucro con sede a Zurigo, in Svizzera. Gli autori dell’analisi, pubblicata su ‘Frontiers in Toxicology’, lanciano un richiamo sulla “necessità urgente di misure preventive più forti per ridurre queste sostanze chimiche nei prodotti di uso quotidiano”.

Molte nazioni – spiegano gli esperti Fpf – hanno una legislazione sui materiali a contatto con gli alimenti (Fcm o food contact materials), volta a proteggere i consumatori dall’esposizione a sostanze chimiche pericolose, spesso regolamentando in modo specifico i composti cancerogeni genotossici. Nelle confezioni alimentari queste sostanze non dovrebbero quindi essere comuni, ma i risultati del lavoro sembrano suggerire il contrario. I ricercatori hanno esaminato Fcm acquistati negli ultimi anni da mercati altamente regolamentati, Ue e Usa compresi. Confrontando un recente elenco di potenziali cancerogeni per il seno, sviluppato dagli scienziati del Silent Spring Institute statunitense, con il database Fpf sulle sostanze chimiche migranti ed estraibili a contatto con gli alimenti (FccMigEx), gli autori hanno scoperto negli Fcm 189 sostanze a rischio per il cancro al seno, incluse 143 nella plastica e 89 nella carta o nel cartone.

Limitando il confronto agli studi più recenti del database FccMigEx (2020-2022), basati su esperimenti che mimano la migrazione dei composti chimici in condizioni realistiche, i ricercatori hanno trovato evidenze di esposizione a 76 sospetti cancerogeni mammari da Fcm acquistati in tutto il mondo, 61 dei quali (l’80%) da materie plastiche. Per gli autori, ciò indica “un’esposizione continua della popolazione globale a queste sostanze chimiche in condizioni d’uso realistiche”.

 

 

 

Tumori: crescono le forme aggressive tra le giovani donne

Sempre più casi di tumori aggressivi nelle giovani donne, come il cancro al pancreas, ma anche allo stomaco o al colon-retto e mieloma. Uno studio promosso e coordinato dall’Istituto nazionale tumori Regina Elena (Ire) di Roma e dall’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibbc-Cnr), pubblicato sulla rivista ‘Bmc Medicine’ del gruppo Springer Nature, evidenzia “un significativo aumento dell’incidenza di tumori aggressivi” nelle under 35. Un trend probabilmente legato alla diffusione di stili di vita poco sani, ipotizzano gli autori. Al lavoro hanno collaborato anche l’Istituto per le applicazioni del calcolo ‘Mauro Picone’ del Cnr e l’Unità di Biostatistica, epidemiologia e sanità pubblica dell’università di Padova.

L’analisi, basata su oltre 10 milioni di casi registrati nel database Seer (Surveillance, Epidemiology and End Results del National Cancer Institute Usa) tra il 2000 e il 2020 e relativa alla popolazione statunitense – riporta una nota – mostra un incremento particolarmente rapido dell’incidenza di cancro al pancreas nelle donne tra i 18 e i 34 anni, con tassi di crescita quasi doppi rispetto agli uomini della stessa fascia di età. I dati indicano un tasso medio annuo di crescita del 9,37% tra le donne di età compresa tra i 18 e i 26 anni, rispetto al 4,43% tra gli uomini. Oltre al cancro al pancreas, si è registrato tra le giovani donne un aumento dei tassi di incidenza di altri tumori aggressivi, come quello gastrico, il mieloma e le neoplasie del colon-retto.

Questa tendenza, secondo gli esperti, potrebbe essere spiegata da cambiamenti negli stili di vita delle nuove generazioni, con un aumento dell’esposizione precoce a fattori di rischio tipici della popolazione adulta, come obesità, diabete, eccessivo consumo di alcol e di sigarette. La crescita di questi tumori a esordio precoce richiede un’attenzione particolare da parte di ricercatori e medici, indirizzando ogni sforzo verso diagnosi precoce e terapie innovative. “I risultati della nostra ricerca – afferma Luca Cardone, ricercatore Ire e Cnr-Ibbc, responsabile e coordinatore dello studio – dimostrano che soprattutto negli ultimi 10 anni si è osservato un incremento generale dell’incidenza, tra i giovani, di alcuni tumori che presentano tassi di letalità elevati. Inoltre, i nostri studi rivelano una disparità di genere nei giovani sotto i 35 anni, con le donne che mostrano tassi di incidenza maggiori degli uomini per alcuni di questi tumori particolarmente aggressivi. Studi mirati sono attualmente in corso per indagare i trend di esposizione nei giovani adulti a fattori di rischio comuni per le neoplasie in aumento, come obesità, diabete, consumo di alcol e di sigarette”.

“Alla luce di questi dati – sottolinea Gennaro Ciliberto, direttore scientifico Ire – è fondamentale promuovere campagne di sensibilizzazione sui rischi associati a stili di vita non salutari tra i giovani adulti, e considerare lo sviluppo di programmi di screening specifici per gruppi a rischio. Sebbene manchino ancora linee guida consolidate per la diagnosi precoce di tumori come quello pancreatico, soprattutto tra i giovani, una maggiore attenzione e consapevolezza dei sintomi potrebbe favorire la diagnosi precoce e migliorare significativamente gli esiti clinici di queste patologie aggressive”.

AIOM: “In oncologia più voce ai pazienti con questionari ad hoc”

“Come ti sei sentito oggi?”, “Ti senti nervoso?”, “Provi dolore?”, “Hai nausea e vomito?”, “Riesci a fare una lunga passeggiata?”. A queste domande rispondono sempre più pazienti oncologici attraverso questionari ad hoc, i Patient-Reported Outcomes, ovvero esiti/risultati riportati dal paziente. “I PRO sono un report diretto della condizione del paziente, senza il filtro, l’interpretazione e la modifica da parte degli operatori sanitari. Sono ormai considerati gold standard per la valutazione dei sintomi soggettivi, sia nella pratica clinica negli studi clinici. Pur essendo consapevoli della complessità dei Pro come endpoint, i risultati mostrati nel corso sia degli ultimi anni da vari studi clinici dell’impatto di questo strumento sulla qualità di vita dei pazienti supportano nell’incoraggiare un cambiamento culturale e gestionale da parte delle direzioni sanitarie sull’opportunità di far interagire la cartella clinica elettronica con gli strumenti in grado di raccogliere i PRO”.

E’ quanto sottolinea il prof. Massimo Di Maio, Presidente Eletto di AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) in occasione del congresso ESMO (European Society for Medical Oncology) in corso in questi giorni a Barcellona. “Anche in oncologia, usando questi strumenti, possiamo dare più voce ai pazienti – sottolinea Di Maio – sono loro a riferirci direttamente benessere o malessere durante il percorso diagnostico terapeutico che stanno affrontando. In ambito oncologico abbiamo sempre usato degli endpoint tradizionali per descrivere i trattamenti e la loro tossicità, un’attività questa misurata dai clinici con gli esami strumentali e non dai pazienti”. Però, “un conto è raccogliere il punto di vista del paziente semplicemente nel colloquio col paziente durante la visita – fa notare l’oncologo – un conto utilizzare degli strumenti ‘validati’, che si chiamano PROMS – Patient Reported Outcome Measures, che ci consentono di raccogliere le informazioni fornite dai paziente. In questi ultimi anni, i PROMS sono diventati sempre più importanti in due ambiti. Nella ricerca clinica – perché conosciamo meglio la qualità di vita, il benessere complessivo e i sintomi soggettivi del singolo paziente – e nella pratica clinica perché aiutano il rapporto medico-paziente, che va oltre al colloquio durante la visita”.

Oncopedia: la storia della ricerca e della cura del cancro in Europa

Oncopedia è un progetto della European School of Oncology che documenta la storia del contributo europeo ai progressi nella cura del cancro. Fornisce informazioni su come sono nati questi contributi e quale differenza hanno determinato per i pazienti. Il progetto è presentato oggi in un press briefing al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), in corso a Barcellona.
Online all’indirizzo www.oncopedia.wiki, dove i contenuti sono pubblicati e vengono continuamente aggiornati, i lettori troveranno più di 30 voci e lemmi sui tipi di tumore e sugli interventi, le biografie delle figure principali, il ruolo di centri oncologici, istituti e organizzazioni che hanno contribuito al progresso e alla storia dell’oncologia europea. Molte delle innovazioni che conosciamo hanno avuto origine e sono state dimostrate nel Vecchio Continente.
Ecco alcuni esempi: la quadrantectomia nel tumore del seno, la scoperta del tamoxifene e dell’adriamicina, lo sviluppo clinico del carboplatino, la radiochirurgia con gamma knife nei tumori cerebrali e nelle metastasi, gli albori del trapianto del midollo osseo.
Oncopedia offre spunti per capire da dove hanno avuto origine questi contributi e quale differenza hanno fatto per i pazienti, ascoltando, ove possibile, le testimonianze delle persone coinvolte. “La European School of Oncology ha scelto di focalizzare Oncopedia sui contributi europei perchè questa è la nostra comunità principale e vogliamo raccontare la nostra storia. Vogliamo diffondere la consapevolezza del ruolo dei ricercatori europei nella lotta al cancro”, spiega Alberto Costa, CEO, European School of Oncology.
Oncopedia dà voce a varie figure del settore, persone come Georges Mathé, Umberto Veronesi, Louis Denis, Hilary Calvert, Gianni Bonadonna, Börje Larsson, Robert Pinedo. “La scoperte più importanti sono state realizzate sia in Europa che negli Stati Uniti, spesso attraverso un’interazione reciproca. Gli enormi investimenti americani nella ricerca oncologica potrebbero, tuttavia, far supporre erroneamente una preponderanza dei risultati nordamericani nel campo della chirurgia, radioterapia, oncologia medica e ricerca traslazionale. Questo non è sempre vero”, sottolinea Silvio Monfardini, responsabile del progetto Oncopedia.
Alcuni fattori potrebbero infatti spiegare il motivo per cui le innovazioni hanno avuto origine in modo diverso in Europa rispetto a quanto avvenuto negli Stati Uniti. “Molti Paesi europei – continua Monfardini – hanno sistemi sanitari pubblici in cui la ricerca clinica ha una natura e una collocazione particolari, diversamente dagli Stati Uniti, in cui si pone maggiore enfasi sulla ricerca centralizzata e guidata dall’industria. Delineare la storia europea dell’oncologia come un contesto in qualche modo separato è estremamente rilevante”.
“Siamo orgogliosi che il responsabile di questa importante iniziativa internazionale sia il Prof. Monfardini, che è stato anche Presidente AIOM e uno dei fondatori della nostra società scientifica – afferma Francesco Perrone, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). – Grazie all’innovazione e alla ricerca, l’oncologia medica ha compiuto passi da gigante negli ultimi decenni. Sul versante dei trattamenti sono stati ottenuti risultati decisivi e questa iniziativa vuole testimoniare il lavoro dei ricercatori e dei clinici che ogni giorno curano le persone colpite dal cancro. Oncopedia rappresenta un prezioso strumento di conoscenza, oltre a costituire un doveroso tributo ai ricercatori che hanno fatto la storia della nostra professione”.

TUMORI, IN ITALIA SERVONO 14 MESI PER ACCEDERE AI FARMACI INNOVATIVI

È pari a un anno e mezzo (559 giorni, circa 18 mesi) il tempo medio in Europa (nel 2023) per disporre dei nuovi farmaci anticancro, tempi che si sono allungati di oltre un mese rispetto al 2022, quando erano pari a 526 giorni. L’Italia è più rapida rispetto alla media europea, però i pazienti oncologici del nostro Paese devono aspettare ancora 417 giorni, cioè quasi 14 mesi, per accedere ai trattamenti anticancro innovativi. Basta pensare che in Germania, che si colloca al primo posto in questa classifica, sono sufficienti 3 mesi (93 giorni). Da qui la necessità di nuovi modelli per consentire l’immediata disponibilità delle terapie salvavita, partendo dall’abolizione dei Prontuari Terapeutici Regionali (PTR), ancora presenti in 12 Regioni (Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia). La richiesta viene dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), nella conferenza stampa ufficiale della società scientifica al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), che si apre oggi a Barcellona.

“I farmaci autorizzati da EMA, l’agenzia regolatoria europea, vengono commercializzati negli Stati membri dopo periodi più o meno lunghi, che possono essere anche molto diversi – spiega Francesco Perrone, Presidente AIOM -. Il tempo che trascorre fra il deposito del dossier di autorizzazione e valutazione all’EMA e l’effettiva disponibilità di una nuova terapia nella Regione italiana che per prima rende disponibile il farmaco si aggira intorno a 14 mesi. Tempi che si sono ridotti rispetto a 5-10 anni fa, quando superavano 2 anni, ma ancora troppo lunghi perché possono penalizzare fortemente i malati oncologici. Per ridurre i tempi di latenza, devono essere aboliti i Prontuari Terapeutici Regionali e va consentita l’immediata disponibilità dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, anche nelle more delle gare regionali”. Dopo l’inserimento nei Prontuari Terapeutici Regionali, ulteriori ritardi possono essere causati dalle procedure burocratiche per l’inclusione anche nei Prontuari Terapeutici Ospedalieri. “Vogliamo collaborare con l’Agenzia Italiana del Farmaco, per definire nuovi modelli – continua il Presidente Perrone -. Anche il Presidente AIFA, Prof. Nisticò, ha evidenziato l’importanza di garantire procedure celeri, rigorose ed efficienti e fare in modo che i farmaci autorizzati siano effettivamente disponibili per il paziente in tempi rapidi in un’ottica di appropriatezza, sostenibilità ed efficienza. Siamo inoltre preoccupati per i lunghi tempi richiesti per l’approvazione degli studi clinici, che rendono i centri italiani meno competitivi rispetto a quelli degli altri Paesi. Nonostante vi siano regole, come il modello di contratto unico, non vengono applicate in Italia. Restano quindi difficoltà burocratiche nelle sperimentazioni che prolungano i tempi di approvazione e attivazione”.

“Nonostante il Regolamento europeo n.536 del 2014 per la ricerca clinica abbia stabilito tempi di autorizzazione allineati per tutti i Paesi membri (da un minimo di 60 giorni a un massimo di 106 a partire dalla data di sottomissione), in Italia i processi amministrativi di approvazione risultano ancora più lunghi e difficoltosi rispetto alla media europea e fino al 2025 ci sarà un periodo transitorio di validità della vecchia normativa sugli studi in corso – sottolinea Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM -. Inoltre, anche se vi è stata una significativa riduzione dei comitati etici, con 40 territoriali più 3 a valenza nazionale, è importante ripensare i processi a livello dei centri di sperimentazione, su cui ricadono tutti gli aspetti amministrativi, per restare competitivi. In generale, è cruciale puntare ad un’armonizzazione e semplificazione delle procedure amministrative che in tanti casi comportano mesi di attesa prima di attivare le sperimentazioni cliniche nei centri italiani: questo mette a rischio l’attrattività del nostro Paese per i promotori profit e comunque ritarda l’opportunità della partecipazione agli studi per i pazienti”. Nel 2022, sono state autorizzate da AIFA 663 sperimentazioni e quasi il 40% ha riguardato l’oncologia, una percentuale costante negli ultimi anni. “In Italia – continua Massimo Di Maio – ogni anno migliaia di cittadini colpiti non solo da tumori ma anche da altre patologie, partecipando agli studi clinici, possono beneficiare di trattamenti innovativi con grande anticipo, rispetto alla loro disponibilità e, quindi, di maggiori possibilità di guarigione, ottenendo miglioramenti anche in termini di qualità di vita. I vantaggi degli studi clinici non sono solo per i pazienti e per la scienza, infatti il Servizio Sanitario Nazionale ottiene un beneficio anche economico grazie ai costi evitati per le terapie, sostenuti dalle aziende sponsor dei trial”.

È dimostrato che un euro investito in uno studio clinico ne genera quasi 3 (2,95) in termini di benefici per il Servizio Sanitario Nazionale. L’effetto leva, determinato dai costi evitati per l’erogazione a titolo gratuito di terapie sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate nei trial, raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni contro il cancro. Basti pensare che il costo medio di una ricerca in oncologia è di 512mila euro, ma quelli evitati sono più del doppio, pari a 1 milione e 200mila euro.

“Il Regolamento europeo ha uniformato tra loro i Paesi europei ma ha allungato di fatto i tempi di approvazione rendendo nel complesso l’Europa meno competitiva rispetto alle altre macroregioni, per cui le aziende farmaceutiche tendono ad investire altrove – afferma Giuseppe Curigliano, Presidente eletto ESMO e membro del Direttivo Nazionale AIOM -. Ad esempio, gli studi di fase I sempre più spesso iniziano negli Stati Uniti, Australia e Asia. È importante risolvere questi problemi, perché i risultati della ricerca scientifica sono evidenti. In Italia, nel 2023, sono stati stimati 395.000 nuovi casi di tumore. In tre anni, l’incremento è stato di 18.400 diagnosi. Grazie anche alle terapie innovative, l’Oncologia del nostro Paese ha fatto registrare importanti passi avanti, con migliaia di vite salvate. Dal 2007 al 2019, in Italia sono state evitate quasi 270mila morti oncologiche. E in Europa, dal 1988 a oggi, i progressi contro i tumori hanno salvato più di 6 milioni di vite. Il cancro è sempre più una malattia curabile e molti pazienti guariscono. Al Congresso ESMO sono presentati studi che cambiano la pratica clinica in neoplasie in cui non vi erano reali progressi da decenni, come quella della cervice uterina localmente avanzata. È riservato grande spazio all’immunoterapia in diversi tumori, dal melanoma a quelli ginecologici, della mammella e della vescica. Senza dimenticare gli anticorpi farmaco coniugati che sono altamente selettivi per le cellule tumorali, riducendo al minimo i danni alle cellule sane circostanti e aumentando l’efficacia del trattamento. È approfondito anche il ruolo dell’intelligenza artificiale nella diagnostica molecolare e nelle terapie, per individuare i meccanismi di resistenza alle cure e offrire nuove opzioni”.

Un ruolo decisivo nella riduzione della mortalità è svolto anche dai programmi di screening. “È necessario investire di più nella prevenzione secondaria – conclude Saverio Cinieri, Presidente Fondazione AIOM -. Nel 2023, in Italia, il 55% delle donne si è sottoposto alla mammografia per la diagnosi precoce del carcinoma mammario. Il 35% degli uomini e delle donne over 50 ha svolto la ricerca del sangue occulto nelle feci per il carcinoma del colon retto. Per la neoplasia alla cervice uterina il 41,5% delle donne ha effettuato il test HPV o il Pap Test. Sono dati in miglioramento rispetto agli anni precedenti, ma non bastano perché restano forti differenze regionali. Servono campagne di informazione per sensibilizzare la popolazione e le nuove tecnologie dovrebbero essere maggiormente sfruttate per coinvolgere i cittadini. L’Unione Europea, infatti, chiede che il 90% della popolazione che soddisfa i requisiti per lo screening del carcinoma della mammella, della cervice uterina e del colon-retto abbia la possibilità di eseguire questi esami entro il 2025”.

Fondazione AIOM: “Fondamentale accettazione del trattamento”

“L’accettazione del trattamento è fondamentale non soltanto per il risultato della cura, ma anche perché il paziente sia predisposto a fare il trattamento antitumorale. Sono cure che durano spesso anni”. In questo tempo “non dobbiamo permetterci che un cittadino perda la sua attività normale”. Lo ha detto Saverio Cinieri, presidente Fondazione Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), oggi a Milano, alla presentazione di una campagna nazionale.

“Noi oncologi abbiamo imparato a gestire gli effetti collaterali parlando con le pazienti – continua Cinieri – Questo, inoltre, ci ha portato a lavorare con specialità della medicina con cui avevamo pochissimi rapporti: penso agli endocrinologi, agli oculisti, agli andrologi, per cercare appunto di dare la terapia giusta al paziente giusto” nella gestione degli effetti collaterali. “Sono terapie che per fortuna ci permettono spesso di cronicizzare la malattia – sottolinea – quindi vanno somministrate per periodi lunghi di tempo. Mi colpiva il dato che il 69% dei nostri pazienti perde i capelli. E’ un dato forte, è un dato a cui si può in parte porre rimedio con l’uso dei nuovi dispositivi medici, con un miglioramento su un effetto che noi oncologi riteniamo, in terapia adiuvante, transitorio e di cui ci interessiamo relativamente, ma è sbagliato. E’ un effetto collaterale che per le pazienti è drammatico, molto più drammatico di quello che possiamo capire noi oncologi medici e noi oncologi medici maschi. Anche perché – conclude – il maschio è più abituato a perdere i capelli”.

Kate Middleton ha finito la chemioterapia, gli oncologi: “Ecco i prossimi passi”

“È un ottimo risultato, evidentemente non c’è persistenza del tumore dopo il ciclo di chemioterapia. E questo fa sperare che ci possa essere un lungo periodo di controllo della malattia o una guarigione che ovviamente deve essere confermata nei prossimi controlli ed esami che la principessa Kate dovrà ripetere. Noi ci auguriamo che vada tutto bene”, così Paolo Marchetti, professore ordinario di Oncologia all’Università degli Studi Sapienza di Roma e presidente della Fondazione per la medicina personalizzata, commenta il messaggio sui social con cui Kate Middleton ha annunciato “con sollievo” di aver concluso dopo nove mesi il trattamento di chemioterapia.

E’ d’accordo Rossana Berardi, oncologa e tesoriere nazionale di Aiom (Associazione italiana oncologia medica), che ha aggiunto: “Non conosciamo i dettagli ma dalle informazioni che abbiamo e dalle dichiarazioni della stessa Kate Middleton sappiamo che sicuramente la sua malattia è in una fase di remissione. Questo significa che l’obiettivo terapeutico è terminato. Tuttavia, per raggiungere il vero obiettivo, ovvero ‘restare libera dal cancro’, la principessa del Galles dovrà ripetere esami clinici, di laboratorio e strumentali ogni 3-6 mesi. Noi oncologi decretiamo la guarigione dopo alcuni anni dal termine delle cure e dalla remissione della malattia, quando i rischi di recidive sono simili a quelli osservati nella popolazione sana”.

Ad attendere la principessa Kate ci sarà un altro percorso “di follow-up, ovvero di monitoraggio – spiega Berardi che è anche professore ordinario di Oncologia Università Politecnica delle Marche e direttrice Clinica Oncologica AOU Marche – Oltre a sottoporsi a ferrei controlli dovrà ovviamente ridurre i fattori di rischio. Vale per la principessa Kate come per tutti i pazienti oncologici in follow-up: fondamentale adottare uno stile di vita corretto, quindi no a fumo e alcol, svolgere regolarmente un’attività fisica e seguire una dieta sana e bilanciata”. ”Ora che l’estate volge al termine, non posso spiegare che sollievo sia aver finalmente completato il mio ciclo di chemioterapia”, ha detto la principessa di Galles in un videomessaggio. ”Gli ultimi nove mesi sono stati incredibilmente duri per noi come famiglia. La vita come la conosci può cambiare in un istante e abbiamo dovuto trovare un modo per navigare in acque tempestose e strade sconosciute’.