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Covid: Fiaso, – 3,7% di pazienti ricoverati in una settimana

10 febbraio 2022 – In una settimana il numero dei pazienti Covid ricoverati è diminuito del 3,7%. Scende lentamente la curva delle ospedalizzazioni nei reparti Covid. E’ quanto rileva la Fiaso (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) negli ospedali sentinella dell’8 febbraio. Sono stati conteggiati 2.025 pazienti rispetto ai 2.103 del 1 febbraio. Nei reparti ordinari la diminuzione dei pazienti si attesta al 3,3% (il totale dei pazienti passa da 1.908 a 1.845). Il calo è più consistente nelle terapie intensive dove il numero dei pazienti si riduce del 7,7% rispetto alla settimana precedente (da 195 del 1 febbraio a 180 dell’8 febbraio).

Nei reparti, sia quelli ordinari sia le terapie intensive, si assiste a un fenomeno nuovo: da circa un mese diminuiscono significativamente i pazienti ricoverati “Per Covid” ovvero i soggetti che hanno sviluppato la tipica polmonite da Covid con sintomi respiratori ed è proprio questo dato che contribuisce a far scendere la curva delle ospedalizzazioni. In un contesto di complessiva diminuzione dei casi Covid c’è, però, un elemento che va in controtendenza: crescono i ricoveri “Con Covid” ovvero quei pazienti che arrivano in ospedale per curare altre patologie, dalla frattura al problema urologico, e vengono trovati positivi al tampone pre-ricovero e costituiscono attualmente il 39% dei ricoverati. “Il monitoraggio dei pazienti “Per Covid” e “Con Covid” ci consente di avere il polso autentico della pandemia – dichiara il presidente di Fiaso, Giovanni Migliore -. I ricoveri di pazienti positivi si stanno riducendo complessivamente ma quello che stiamo osservando negli ospedali è un fenomeno nuovo: da un lato, diminuiscono in maniera significativa gli accessi ai pronto soccorso di pazienti. “Per Covid” con i sintomi respiratori e polmonari ed è il segnale che la pandemia è in fase di arretramento. Dall’altro lato, però, arrivano in ospedale molti più soggetti che al momento del tampone pre-ricovero risultano positivi al virus: si tratta di pazienti con traumi, con scompensi cardiaci, con patologie urologiche, neurologiche, pazienti che devono essere sottoposti a intervento chirurgico e che in ospedale ci vengono per curare proprio queste malattie e non il Covid, che rappresenta un referto incidentale. Siamo di fronte a una sorta di “normalizzazione” dell’epidemia: il virus continua a circolare e a infettare ma, in virtù dell’alta percentuale di soggetti vaccinati, non provoca la malattia.

Covid: per i malati + 63% rischio cardiovascolare per un anno

8 febbraio 2022 – Nell’anno successivo ad una infezione da SARS-CoV-2 aumenta di oltre il 60% il rischio di incorrere in una malattia cardiovascolare: ciò vale non soltanto per chi ha avuto una forma severa di Covid-19 ma anche, seppur in misura minore, per chi ha avuto una forma lieve. È quanto emerge da uno studio coordinato dalla Washington University di St. Louis e pubblicato su Nature Medicine. Lo studio ha preso in considerazione 153.760 persone che si sono ammalate di Covid confrontando i dati sulla loro salute cardiovascolare nel corso dell’anno successivo all’infezione, a quelli di oltre 10 milioni di persone che non avevano contratto l’infezione. Rispetto al gruppo di controllo, i pazienti Covid avevano un rischio del 63% più alto di malattie cardiovascolari in generale e del 55% più elevato di incorrere in eventi cardiovascolari gravi, come un infarto o un ictus.

Nello specifico, i pazienti Covid, nell’anno successivo all’infezione, avevano un rischio del 52% più alto di avere un ictus e del 49% più alto di un attacco ischemico transitorio; +79% le probabilità di soffrire di fibrillazione atriale, +85% quelle di pericardite, +63% l’infarto, +72% le probabilità di scompenso cardiaco. Ancora più alto il rischio di trombosi venosa profonda (2,09 volte rispetto al gruppo di controllo), arresto cardiaco (2,45 volte), embolia polmonare (2,93 volte), miocardite (5,38 volte). Secondo l’analisi, inoltre, i livelli di rischio cardiovascolare aumentano parallelamente alla gravità della malattia. “Le implicazioni più ampie di questi risultati sono chiare – scrivono i ricercatori – Le complicanze cardiovascolari sono state descritte nella fase acuta di Covid-19. Ma il nostro studio mostra che il rischio di malattie cardiovascolari si estende ben oltre la fase acuta”.

 

 

Psicologi: “Il disagio da pandemia resterà con noi per anni”

7 febbraio 2022 – “Da una situazione come questa non si esce da un giorno all’altro. Lo strascico del disagio psicologico che si è determinato in questi 2 anni durerà per anni, ce lo porteremo dietro come un’onda lunga che in qualche maniera avrà tutta una serie di ricadute”.
E’ quanto sostiene David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale Ordine psicologi (CNOP). “Tutto questo – afferma – richiede un cambiamento non solo di cultura, ma un cambiamento delle infrastrutture sociali, di come la società vede e gestisce certe problematiche. Il tema salute – sottolinea l’esperto – è un tema che si deve coniugare con la qualità della vita e gli equilibri individuali complessivi, perché salute – insiste – è legata anche al lavoro, a quello che uno riesce a realizzare nella vita. Questi temi sono legati tra loro. E poi – aggiunge Lazzari – non esistono logiche binarie in cui una persona o sta bene o sta male: uno può avere diversi gradi di benessere e di malessere. Il concetto di salute noi lo dobbiamo immaginare come una negoziazione continua tra elementi negativi ed elementi positivi, cioè come noi affrontiamo le sfide della vita più o meno efficacemente”. “Gli ultimi dati ci dicono – ricorda il presidente Cnop – che il 51% della popolazione ha livelli alti di stress. Questo significa che c’è un depotenziamento delle risorse collettive perché stress vuol dire che in quel momento io sto in difficoltà, sono sovraccarico, le mie risorse sono depotenziate, quindi il modo con cui io affronto le varie dimensioni della vita sarà depotenziato. E’ un fattore di indebolimento collettivo e questo sposta l’asse verso il malessere e la malattia dal punto di vista della salute oltre che dal lato esistenziale”. Per rispondere a questa situazione, prosegue Lazzari, “dobbiamo iniziare a mettere in piedi, attraverso i servizi pubblici, delle reti in grado di fare prevenzione e promozione in maniera capillare e diffusa. Rendere disponibili queste competenze attraverso scuola, luoghi di lavoro, servizi di welfare e sanità. L’Istat – ricorda il numero uno degli psicologi – ha inserito nel paniere le cure psicologiche e quindi ha riconosciuto che è un bisogno diffuso e però è un bisogno ancora privatizzato, perché la persona va nello studio privato pagando di tasca propria. Invece noi abbiamo bisogno di una rete che faccia promozione e prevenzione su larga scala. E da questo punto di vista è necessaria una visione culturale nuova, serve un modello organizzativo nuovo che tenga conto di questi aspetti qua”.

Tumori: serve il “recovery plan” contro i danni del covid

3 febbraio 2022 – Luci e ombre nell’assistenza oncologica in Italia, messa a dura prova da due anni di pandemia. Nel nostro Paese sono attive 371 Oncologie, l’85% ha un servizio di supporto psicologico. Le Breast Unit, dedicate alla cura del tumore della mammella, sono 287, di queste l’80% tratta più di 150 nuovi casi ogni anno (la soglia minima stabilita a livello europeo). Significativi i passi avanti realizzati nella definizione dei percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali (PDTA), essenziali per garantire un’assistenza multidisciplinare, sono stati infatti deliberati dalle reti oncologiche ben 1.375 documenti. Quasi l’80% delle strutture ha una nutrizione clinica di riferimento. Le criticità riguardano in particolare l’assistenza domiciliare oncologica, disponibile solo per il 68% dei centri. Inoltre, sono da implementare i gruppi di cure simultanee. Preoccupa soprattutto l’aumento di casi di tumore in fase avanzata, a causa dei ritardi nelle diagnosi e nelle cure accumulati in 24 mesi di pandemia. Per questo, gli oncologi chiedono un “Recovery Plan” dedicato. La fotografia dello stato dell’oncologia nel nostro Paese è scattata dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), che domani, in occasione della Giornata mondiale contro il cancro (World Cancer Day), organizzerà il Convegno nazionale virtuale sulle “Sfide globali e il cancro”. L’incontro include anche l’evento sui diritti delle persone che hanno superato la malattia (“Dottore sono guarito?”), organizzato da Fondazione AIOM.
“Serve subito un ‘piano di recupero’ dell’oncologia, per colmare i ritardi nell’assistenza ai pazienti oncologici, che vada dalla diagnosi alla chirurgia, alla terapia medica fino alla radioterapia – afferma Saverio Cinieri, Presidente Nazionale AIOM -. Senza un’adeguata programmazione, che preveda l’assegnazione di risorse e personale dedicato, le oncologie del nostro Paese non saranno in grado di affrontare l’ondata di casi di cancro in fase avanzata stimati nei prossimi mesi e anni. In queste settimane, la nuova ondata della pandemia causata dalla variante Omicron sta mettendo in crisi la gestione dei reparti di oncologia e l’attività chirurgica programmata è stata sospesa o rallentata, poiché le terapie intensive sono occupate da pazienti con Covid. I danni per le persone colpite da cancro rischiano di essere molto gravi, in quanto il successo delle cure dipende anche dai tempi brevi entro cui viene eseguito l’intervento chirurgico”. “La crisi nell’assistenza sanitaria causata dalla pandemia non può più essere affrontata con iniziative estemporanee come è avvenuto finora, basate sull’apertura e chiusura dei reparti in relazione all’incremento del numero dei contagiati dal Covid-19 – afferma il Presidente AIOM -. Chiediamo alle Istituzioni di definire una programmazione a medio e lungo termine sulla conservazione e implementazione dell’attività oncologica ospedaliera. Soffriamo in particolare la mancanza di personale e di spazi, sarebbe anche appropriato comprendere come la maggior parte dei trattamenti di oncologia medica venga effettuata in regime di Day-Hospital, permettendo ai pazienti di continuare, compatibilmente con la malattia e con le cure, una vita quanto più normale possibile”.
Ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa 377mila nuovi casi di tumore. L’alto livello dell’assistenza oncologica nel nostro Paese è evidenziato dalle percentuali di sopravvivenza a 5 anni, che raggiungono il 65% nelle donne e il 59% negli uomini. Inoltre, in sei anni (2015-2021), si è osservato un calo complessivo della mortalità per cancro del 10% negli uomini e dell’8% nelle donne.
“Ottimi risultati che però rischiano di essere vanificati senza una programmazione adeguata, perché la quarta ondata pandemica sta peggiorando ulteriormente una situazione già critica – continua Cinieri -. Plaudiamo alle iniziative del Governo che, tra il decreto di agosto e l’ultima legge di Bilancio, ha stanziato 1 miliardo di euro per recuperare gli interventi, gli screening e le visite rinviate a causa della pressione del Covid sugli ospedali. Ma non basta. Se non viene definito un ‘piano di recupero’, che includa anche il potenziamento del personale e delle strutture, rischiamo di non riuscire a gestire la prossima epidemia di casi avanzati di tumore, determinata anche dai ritardi nell’assistenza accumulati in questi due anni di pandemia”.
Nel 2020, in Italia, le nuove diagnosi di neoplasia si sono ridotte dell’11% rispetto al 2019, i nuovi trattamenti farmacologici del 13%, gli interventi chirurgici del 18%. Non solo. Gli screening per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon retto hanno registrato una riduzione di due milioni e mezzo di esami nel 2020 rispetto al 2019. Sono state stimate anche le diagnosi mancate: oltre 3300 per il tumore del seno, circa 1300 per il colon-retto (e 7474 adenomi in meno) e 2782 lesioni precancerose della cervice uterina. “Le neoplasie, non rilevate nel 2020, ora stanno venendo alla luce, ma in stadi più avanzati e con prognosi peggiori rispetto al periodo precedente la pandemia – spiega il Presidente Cinieri -. Inoltre, queste patologie presentano anche un carico tumorale maggiore, cioè metastasi diffuse, con quadri clinici che non vedevamo da tempo”.
“La revisione dell’assistenza oncologica non deve fermarsi all’ospedale, per questo preoccupa il dato sull’assistenza domiciliare, ancora non soddisfacente – sottolinea Massimo Di Maio, Segretario Nazionale AIOM -. Vanno implementati anche i gruppi di cure simultanee. Un’integrazione precoce nel percorso di cura di interventi di supporto, in un’ottica di cure simultanee, ha un impatto positivo sulla qualità e quantità di vita del paziente e sui risultati attesi con le terapie. La pandemia, inoltre, ha acuito la mancanza di integrazione fra oncologia e medicina di famiglia. La scarsa comunicazione tra i centri oncologici e il territorio determina ritardi nell’accesso agli esami e agli specialisti durante la fase diagnostica, con potenziali ripercussioni sulle opportunità di individuazione precoce della malattia. Va rafforzata questa connessione all’inizio del percorso assistenziale, prima ancora che una persona diventi un paziente oncologico. E non appena il trattamento attivo inizia, va contattato il medico di base per informarlo sullo scopo del trattamento, sulle possibili tossicità e sull’evoluzione prevista della situazione clinica”. “La cura del cancro è un’attività complessa, quindi, oltre a una buona comunicazione, è necessario rafforzare la formazione degli operatori sanitari – continua Massimo Di Maio -. Un’opzione è costituita dal miglioramento delle competenze oncologiche nell’ambito della comunità, ad esempio attraverso medici territoriali specializzati in oncologia oppure garantendo a tutti i medici di famiglia una formazione intermedia nella gestione dei malati di cancro. Investire nel territorio può rendere più sostenibile l’assistenza oncologica”.
Anche la ricerca è fondamentale in oncologia, perché consente di portare al letto del paziente i trattamenti innovativi. “Il 45% delle strutture nel Libro Bianco di AIOM è dotato di coordinatori di ricerca clinica, ma quasi sempre queste figure, essenziali per la conduzione delle sperimentazioni, ricoprono una posizione lavorativa precaria – conclude Francesco Perrone, Presidente eletto AIOM -. Servono più risorse da investire nella ricerca clinica, ma anche nella ricerca di laboratorio ed epidemiologica. Oggi sappiamo che fino al 40% dei tumori potrebbe essere prevenuto migliorando gli stili di vita (smettendo di fumare, evitando il sovrappeso e mantenendo un alto livello di attività fisica); ma si stima anche che il 16% delle morti per cancro potrebbe essere attribuibile ad esposizioni ambientali. In questo senso i prossimi anni, in cui ci si augura che su scala globale si realizzi la cosiddetta transizione ecologica necessaria per salvare la terra, rappresentino una occasione anche per la prevenzione primaria del cancro, affinché gli interventi collettivi e individuali necessari per ridurre le emissioni di gas serra e il riscaldamento globale siano coerenti con le modifiche comportamentali che consentirebbero di ridurre l’incidenza e la mortalità per cancro”.

Servizio sanitario: nasce il forum dei clinici ospedalieri e universitari

2 febbraio 2022 – Potenziamento ed ammodernamento sostanziale degli Ospedali e dei Policlinici universitari del nostro Paese attraverso l’aumento dei posti letto di degenza ordinaria e delle terapie intensive e la riorganizzazione dell’area medica con attivazione al suo interno delle unità di terapia semi-intensiva. Non solo. Rinforzo dei servizi di diagnosi e cura e dell’Emergenza Urgenza e la sua integrazione con l’Emergenza pre-ospedaliera, riattivazione immediata degli screening oncologici su tutto il territorio e creazione delle reti assistenziali per patologie. Senza dimenticare l’attivazione e diffusione di programmi avanzati di telemedicina, oltre alla richiesta di nuovi ulteriori ingenti fondi per la sanità, immediatamente fruibili che permettano all’Italia di affrontare l’emergenza causata dalla pandemia e la fase di sviluppo e ricostruzione successiva alla crisi sanitaria. Sono questi i principali obiettivi per cui è nato il “Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani” (FoSSC), la prima realtà che nel nostro Paese riunisce i medici di diverse discipline che ogni giorno curano i pazienti negli ospedali, istituita su precisa richiesta del Ministro della Salute per avviare un’interlocuzione con i professionisti che assistono milioni di cittadini. Il Forum è presentato oggi in una conferenza stampa virtuale.
I soci fondatori ed ordinari sono AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), AIPO (Associazione Nazionale Pneumologi Ospedalieri), AUORL (Associazione Universitaria Otorinolaringoiatri), CIC (Collegio Italiano dei Chirurghi), FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti), FISMAD (Federazione Italiana delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente), FOCE (Confederazione Oncologi Cardiologi e Ematologi), SIC (Società Italiana di Cardiologia), SICT (Società Italiana di Chirurgia Toracica), SIE (Società Italiana di Ematologia), SIE (Società Italiana di Endocrinologia), SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), SIMEU (Società Italiana Medicina Emergenza ed Urgenza), SIMIT (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali), SIN (Società Italiana di Neurologia), SIR (Società Italiana di Reumatologia) e SIU (Società Italiana di Urologia). Inoltre, vi sono altre 9 società aderenti che afferiscono alle stesse discipline e la diabetologia e la pediatria che ne condividono in pieno obiettivi ed azioni.
“Rappresentiamo i professionisti che assistono i cittadini nei reparti – afferma Francesco Cognetti (Coordinatore del Forum) -. Forti della nostra esperienza diretta sul campo, vogliamo porci come interlocutori privilegiati per proporre soluzioni concrete alle Istituzioni. Lo stato dell’assistenza nei nosocomi del nostro Paese richiede interventi urgenti. La vita media di moltissime strutture ha superato ogni limite plausibile e sono addirittura inadeguate anche solo ad ospitare le nuove tecnologie. Per questo servono una profonda modernizzazione e più risorse. Dobbiamo tornare indietro e abbandonare definitivamente tutte le politiche di deospedalizzazione che hanno profondamente colpito il settore negli ultimi 40 anni. Gli Ospedali e i Policlinici universitari sono stati mortificati e ridotti nella loro dotazione di posti letto di degenza ordinaria, terapia intensiva, di medici specialisti e finanziamenti rispetto a tutti i Paesi dell’Europa occidentale. Queste strutture vanno rifondate, recuperando il gap esistente con quasi tutti gli altri Paesi”.
Gli operatori sanitari sono inadeguati in rapporto alla popolazione del nostro Paese: i medici specialisti ospedalieri sono circa 130mila, 60mila unità in meno della Germania e 43mila in meno della Francia ed è sotto gli occhi di tutti la crisi profonda dei Pronto Soccorso e dell’intero settore dell’Emergenza-Urgenza. Tutte queste criticità si sono solo acuite per la pandemia ma, in realtà, erano evidenti anche nelle condizioni di normalità, perché realizzatesi dopo decenni di tagli irresponsabili e mancata programmazione di strutture, personale e risorse che hanno depauperato in modo irreversibile il sistema sanitario. “È necessario investire nelle discipline medico-chirurgiche e nel mondo delle professioni sanitarie per raggiungere gli standard europei e pensare seriamente all’introduzione di nuove figure professionali che promuovano la rifondazione negli ospedali delle infrastrutture dell’informazione e comunicazione (ICT) – sottolineano le società scientifiche del ‘Forum’ -. Inoltre, va ripensata l’attuale gestione monocratica delle Aziende Ospedaliere e Universitarie, considerando innanzitutto l’alta complessità dei processi clinici che devono essere governati in modo partecipato, diffuso e decentrato anche attraverso il coinvolgimento delle professioni e delle discipline mediche come parte fondamentale della governance del sistema”.
Va affrontato anche il problema del numero complessivo di posti letto ordinari, che è molto più basso rispetto alla media europea (314 rispetto a 500 per 100mila abitanti) e colloca l’Italia al 22esimo posto tra tutti i Paesi del Vecchio Continente. Anche per i posti letto in terapia intensiva l’Italia non brilla: se in era pre-Covid avevamo 8,6 posti ogni 100 mila abitanti, con l’emergenza sanitaria era stato previsto che venissero aumentati fino a 14 ma, in realtà, solo una piccola parte risulta effettivamente attivata e, comunque, con numeri nemmeno paragonabili rispetto, ad esempio, alla Germania (33 posti letto ogni 100mila abitanti). Tutto questo con evidenti drammatiche ricadute sulla qualità dell’assistenza, come testimoniato dall’inaccettabile fenomeno dell’attesa per il ricovero nei Pronto Soccorso di tutta la Penisola, che ha raggiunto dimensioni quantitative e temporali inedite e pericolose per la salute dei cittadini.
“FoSSC è una struttura agile che vuole collaborare con le Istituzioni nazionali e regionali a una revisione profonda e radicale del Decreto Ministeriale sugli standard ospedalieri (DM 70 del 2 aprile 2015) – spiegano le società scientifiche -. Questa riforma è importante e urgente, anche alla luce degli allarmanti dati sulla grave sofferenza dei nosocomi, che ha già prodotto tanti decessi per Covid nel nostro Paese, e per recuperare i ritardi accumulati in questi due anni di pandemia. Va ripensato anche il territorio, con strutture ad hoc ambulatoriali e residenziali, in grado di farsi carico di funzioni finora impropriamente svolte dai nosocomi, quali screening, follow up, riabilitazione, assistenza domiciliare e cure palliative, nonché filtro al ricorso inappropriato al Pronto Soccorso. È ferma però la nostra contrarietà agli ‘ospedali di comunità’ che rientrano in una concezione obsoleta, inadeguata a far fronte alle tante e diverse complessità poste in essere dalle domande di salute della medicina moderna. Servono invece ‘presidi’ residenziali per pazienti cronici stabilizzati che richiedono cure in regime di degenza ordinaria. La razionalizzazione del sistema sanitario deve prevedere una profonda revisione del modello ospedaliero per acuti attraverso la diffusione di reti assistenziali per singole patologie che vedano la collocazione del paziente al centro del sistema. Questa riorganizzazione può essere attuata secondo il modello ‘Hub e Spoke’, in una visione integrata tra le reti ospedaliere e quelle dei servizi territoriali”.
“La pandemia, inoltre, ha evidenziato il ruolo della telemedicina – concludono le società scientifiche -. Servono però norme specifiche che regolino queste attività digitali, anche a tutela dei medici che le svolgono. E questi programmi non potranno comunque prescindere dalla periodica osservazione in presenza dei pazienti da parte dei medici di famiglia e degli specialisti. Sono pari a circa 20 miliardi di euro le dotazioni economiche destinate al settore della sanità dal PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La maggior parte di queste risorse sono quindi indirizzate al territorio e quasi nulla agli ospedali. È indispensabile anche affrontare la ‘questione meridionale’: gli ospedali del Sud soffrono gravi carenze e, in una situazione del genere, rischiamo di non riuscire a garantire servizi adeguati ai pazienti. È quindi necessario acquisire nuovi finanziamenti perché il PNRR prevede pochissime risorse per l’assistenza ospedaliera”.

 

Studio: l’attività fisica può aiutare il recupero del Long-Covid

31 gennaio 2022 – Un programma di riabilitazione fisica di due mesi può aiutare a recuperare gli effetti cardiopolmonari e muscolari lasciati dal Covid. Lo dice uno studio condotto al centro di riabilitazione cardiaca della Asl 3 di Genova e pubblicato sullo European Journal of Preventive Cardiology, che mostra l’importanza della riabilitazione fisica per trattare alcuni sintomi del long-Covid. Lo studio ha verificato l’efficacia di un programma di riabilitazione fisica avviato fin dalla primavera del 2021 dall’Azienda sanitaria di Genova in 50 pazienti che erano stati ricoverati per Covid. Nei mesi precedenti, lo stesso gruppo di ricerca aveva osservato che, a tre mesi dalle dimissioni, circa un terzo dei pazienti con Covid aveva limitazioni funzionali in gran parte legate a problemi muscolari. “Per questo, abbiamo voluto valutare se un programma di riabilitazione fisica potesse essere applicato ai pazienti con long-Covid”, spiegano i ricercatori. Il programma di allenamento prevedeva tre sessioni a settimana di un’ora e mezza in cui i pazienti effettuavano, sotto la sorveglianza del personale, esercizi aerobici affiancati a esercizi di resistenza a impegno crescente. Gli esami effettuati alla fine del periodo di training hanno confermato l’efficacia di questo approccio.

“Lo studio dimostra che un programma di riabilitazione in cui esercizi aerobici e di resistenza sono eseguiti nella stessa sessione per otto settimane aumenta marcatamente sia la funzione cardirespiratoria sia quella muscolo-scheletrica”, scrivono i ricercatori. “Questi risultati evidenziano l’importanza dell’aggiunta della riabilitazione fisica all’assistenza dei pazienti con long Covid con l’obiettivo di promuovere le attività quotidiane, la vita indipendente e la qualità della vita”, concludono i ricercatori.

Effetto pandemia: 1 milione di diagnosi di tumori in meno

27, gennaio 2022 – Un milione di diagnosi oncologiche non eseguite nel 2020, e il 56% di screening per l’Hiv in meno rispetto ai tre anni precedenti, un rischio maggiore di sviluppare sintomi ansiosi, depressivi e stress correlati, l’aumento di dipendenze patologiche e di consumo di farmaci come gli ansiolitici e gli psicotropi.

Sono alcuni degli effetti devastanti della pandemia da Covid-19 sulle patologie acute e croniche, evidenziati da uno studio della Fondazione The Bridge con Università di Pavia, Intexo e Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) presentato durante l’incontro “L’impatto della pandemia sui pazienti no Covid”. Riguardo all’oncologia, nel 2020 le diagnosi mancate dall’inizio della pandemia ammontano a 1 milione e si prevede – stimano gli autori della survey – un incremento di nuovi casi che potrebbero aumentare del 21% entro il 2040. Le interruzioni registrate nella regolare assistenza ai pazienti, tra il 2020 e il 2021, avranno conseguenze specialmente per quanto riguarda i tumori individuati in stadio avanzato. La pandemia non ha causato un impatto particolarmente significativo sulle terapie farmacologiche del cancro, grazie anche all’implementazione di strategie di prescrizione e di somministrazione di farmaci alternative. Fattori quali il ritardo o interruzione nelle cure, preoccupazioni circa la contrazione del Covid-19 e le sue ripercussioni sono stati alla base di una maggior prevalenza di ansia e depressione nei pazienti oncologici. Rispetto all’Hiv, la survey, che ha coinvolto 32 associazioni di pazienti e 63 centri clinici, ha evidenziato come la pandemia non abbia avuto un impatto particolarmente grave sul percorso terapeutico dei pazienti, sia naive che già in terapia: gli ambiti su cui ha impattato in misura maggiore sono stati i ricoveri e il monitoraggio del percorso terapeutico. È stato registrato, invece, un forte calo per quanto riguarda lo screening, stimato intorno il 56% rispetto ai 3 anni precedenti, con picco tra marzo e maggio (-71,9%), le cui ripercussioni si vedranno nel medio periodo. Anche in questo caso è stato riferito che un problema ricorrente ha riguardato l’annullamento di appuntamenti per visite e controlli, sia secondo le associazioni di pazienti (84%) che i clinici (94%).

Tumore del polmone, rene e melanoma: cambia la pratica clinica

Roma, 27 gennaio 2022 – L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità della combinazione di due molecole immunoncologiche, nivolumab e ipilimumab, nel melanoma e nei tumori del rene e del polmone. In particolare, l’approvazione dell’ente regolatorio riguarda il trattamento in prima linea del melanoma avanzato, del carcinoma a cellule renali avanzato a rischio intermedio/sfavorevole e, in associazione con due cicli di chemioterapia a base di platino, del tumore del polmone non a piccole cellule metastatico (NSCLC) senza mutazione dei geni EGFR e ALK. L’AIFA, inoltre, ha approvato la monoterapia con nivolumab in seconda linea nel tumore dell’esofago. Siamo di fronte a cambiamenti sostanziali della pratica clinica quotidiana, a cui è dedicata oggi una conferenza stampa virtuale, promossa da Bristol Myers Squibb.

“La combinazione di nivolumab e ipilimumab consente di ottenere un meccanismo d’azione completo e sinergico, perché diretto verso due diverse proteine che inibiscono l’attivazione del sistema immunitario (PD-1 e CTLA-4) – afferma Paolo Marchetti, Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza di Roma e Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata -. Grazie alla duplice immunoterapia diventa concreta la possibilità di cronicizzare molte forme di tumore metastatico. I benefici offerti dalla combinazione delle due molecole immunoncologiche sono costituiti da risposte più veloci e durature e dalla sopravvivenza a lungo termine, come evidenziato anche nella metanalisi, coordinata dall’Università La Sapienza di Roma e pubblicata sul ‘Journal of Translational Medicine’, che ha considerato 7 studi, condotti fra il 2010 e il 2020, su più di 2.420 pazienti colpiti da melanoma, tumore del polmone a piccole cellule e non a piccole cellule, della vescica, gastrico, sarcoma, mesotelioma. La combinazione di nivolumab e ipilimumab ha dimostrato un’efficacia agnostica, cioè trasversale e al di là del tipo di cancro, incrementando le riposte del 68%”.

Nel 2020, in Italia, sono state stimate quasi 14.900 nuove diagnosi di melanoma. “Questo tumore della pelle ha rappresentato il modello ideale per verificare l’efficacia dell’immunoncologia – afferma Paolo Ascierto, Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del ‘Pascale’ di Napoli -. Fino a pochi anni fa, non esistevano terapie realmente efficaci: prima dell’arrivo dell’immunoterapia la speranza di vita dei pazienti con la malattia metastatica era di circa 6 mesi e meno del 10% era vivo a un quinquennio. L’Italia ha contribuito in maniera decisiva alle ricerche che hanno permesso di rendere disponibili le terapie immunoncologiche alle persone colpite da neoplasie in fase molto avanzata. Il ‘Pascale’ di Napoli, con oltre 4.000 pazienti curati con l’immunoterapia dal 2010, si colloca fra i primi centri al mondo per numero di trattamenti. E la Campania, su proposta del ‘Pascale’, è l’unica Regione in Italia che, dal 2019, garantisce la rimborsabilità della combinazione di nivolumab e ipilimumab per tutti i pazienti colpiti da melanoma con metastasi cerebrali”. “La decisione di AIFA rappresenta una conquista di civiltà e un passo in avanti nelle cure – continua Paolo Ascierto -. Nello studio internazionale di fase 3, CheckMate -067, il 49% dei pazienti trattati con la combinazione nivolumab e ipilimumab in prima linea era vivo a 6 anni e mezzo. In particolare, la sopravvivenza globale mediana è risultata di 72,1 mesi, la più lunga finora riportata in uno studio di fase III nel melanoma avanzato. Inoltre, la duplice immunoterapia è efficace a lungo termine, visto che il 77% dei pazienti vivi a 5 anni e che hanno ricevuto la combinazione non ha più avuto necessità di ricevere un trattamento sistemico”.

Grazie all’approvazione di AIFA, la combinazione di nivolumab e ipilimumab cambia le prospettive di cura anche nel tumore del rene. Nel 2020, in Italia, sono stati stimati 13.500 nuovi casi e più di 144mila persone vivono dopo la diagnosi. “La forma più frequente è quella a cellule chiare – sottolinea Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Oltre il 50% dei pazienti con malattia in fase precoce guarisce. Però il 30% arriva alla diagnosi già in stadio avanzato e, in un terzo, la malattia può recidivare in forma metastatica dopo l’intervento chirurgico. Storicamente, la sopravvivenza a 5 anni nella malattia avanzata o metastatica non superava il 13%. Oggi invece, grazie alla combinazione di nivolumab e ipilimumab in prima linea, il 48% è vivo a 5 anni, come evidenziato dallo studio di fase 3 CheckMate -214”. “I dati del programma di uso compassionevole sulla combinazione confermano, nella pratica clinica quotidiana, gli ottimi risultati dello studio registrativo – continua Giuseppe Procopio -. Sono stati coinvolti 324 pazienti con tumore del rene provenienti da 86 centri italiani, non ‘selezionati’ di solito negli studi randomizzati, ad esempio anziani con comorbidità e persone in fasi molto avanzate, quindi più difficili da trattare, o con particolari varianti istologiche del tumore del rene. Il programma del ‘mondo reale’ ha evidenziato, in una popolazione eterogenea e non selezionata, che l’efficacia e il profilo di tollerabilità della combinazione si mantengono inalterati e in linea con quanto emerso nello studio registrativo di fase III”.

Nel 2020 in Italia sono stati stimati quasi 41.000 nuovi casi di tumore del polmone e le diagnosi in fase avanzata raggiungono il 70%, con scarse opzioni di cura. Infatti la sopravvivenza a 5 anni nel carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico si aggira intorno al 15%. “Da qui l’importanza della decisione di AIFA che rende disponibile una nuova arma molto efficace per i clinici e i pazienti del nostro Paese – spiega Cesare Gridelli, Direttore Dipartimento di Onco-Ematologia dell’Azienda Ospedaliera ‘Moscati’ di Avellino -. Nella forma più comune di tumore del polmone, quella non a piccole cellule, la duplice immunoterapia con nivolumab più ipilimumab, associata a cicli limitati di chemioterapia, cioè due invece dei ‘classici’ quattro, riduce del 28% il rischio di morte e del 33% il rischio di progressione della malattia. Inoltre, come evidenziato nello studio di fase 3 CheckMate -9LA, il 38% dei pazienti che riceve questo schema terapeutico è vivo a due anni rispetto al 26% di quelli trattati con la sola chemioterapia”. “La duplice terapia immuno-oncologica in associazione con due cicli di chemioterapia, in prima linea nel tumore metastatico – sottolinea Cesare Gridelli -, migliora sia la sopravvivenza globale che quella libera da progressione di malattia. L’ulteriore vantaggio di questo approccio è rappresentato dall’utilizzo di cicli limitati di chemioterapia, che permette di ridurre gli effetti collaterali. La chemioterapia fa ancora paura ai pazienti, anche se oggi riusciamo a controllare meglio gli effetti collaterali. Con questo schema, il paziente in meno di un mese termina la chemioterapia e prosegue il trattamento con l’immunoterapia”.

“Abbiamo creduto fortemente nel valore delle nostre terapie ed è arrivato il tanto atteso rimborso della combinazione di nivolumab e ipilimumab – afferma Cosimo Paga, Executive Country Medical Director, Bristol Myers Squibb Italia -. In questo modo aumenta il numero di pazienti che possono trarre vantaggi dall’immunoterapia, aumentando il numero dei pazienti che rispondono alla monoterapia. Basandoci sul differente meccanismo d’azione delle due molecole che agiscono su momenti diversi dell’induzione della risposta immunitaria, abbiamo studiato la loro combinazione per aumentare la potenza e quindi l’efficacia della terapia. Stiamo sviluppando altre molecole immunoncologiche, che interagiscono su target differenti del sistema immunitario, come relatlimab, un anticorpo monoclonale che interagisce con il recettore LAG-3, inibendone la funzione e quindi riattivando il sistema immunitario. Il nostro obiettivo è estendere l’efficacia dell’immunoncologia per migliorare la sopravvivenza dei pazienti”.

Altra neoplasia troppo spesso individuata in fase avanzata è il tumore dell’esofago. Nel 2020, in Italia, sono stati stimati 2.400 nuovi casi, in costante aumento. “Circa la metà è diagnosticata in stadio avanzato, con un forte impatto sulla vita quotidiana del paziente, soprattutto sulla sua capacità di mangiare e bere – spiega Stefano Cascinu, Direttore Cancer Center IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Professore di Oncologia Medica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele -. Oggi la chemioterapia è il trattamento standard per questi pazienti, ma la prognosi rimane sfavorevole perché la sopravvivenza non supera i 10 mesi. Da qui l’importanza di individuare nuove opzioni efficaci e tollerabili. AIFA ha stabilito la rimborsabilità di nivolumab per il trattamento del carcinoma esofageo a cellule squamose avanzato non resecabile, recidivo o metastatico in seconda linea, cioè dopo una precedente chemioterapia”. Nivolumab è stata la prima immunoterapia approvata in Europa, a novembre 2020, nel tumore gastroesofageo in base ai risultati dello studio di fase 3 ATTRACTION-3, che ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale nei pazienti che hanno ricevuto nivolumab rispetto alla chemioterapia. “Nivolumab ha ridotto il rischio di morte del 23% rispetto alla chemioterapia da sola – conclude Stefano Cascinu –. L’immunoterapia, inoltre, ha evidenziato un miglioramento della qualità di vita, aspetto molto importante in pazienti spesso fragili e colpiti da altre patologie. La sfida è portare i vantaggi dell’immunoterapia anche in adiuvante, cioè in fase precoce subito dopo la chirurgia. L’uso di nivolumab negli stadi iniziali del tumore, infatti, ha il potenziale di evitare le recidive. Come dimostrato dallo studio di fase 3 CheckMate -577, il trattamento adiuvante con nivolumab ha raddoppiato la sopravvivenza libera da malattia (22,4 mesi) rispetto al placebo (11 mesi), riducendo il rischio di recidiva o morte del 31%”.

Coronavirus: donne e giovani più colpiti nella salute mentale

25 gennaio 2022 – Le donne e i più giovani sono tra le categorie maggiormente colpite nel benessere psicologico a causa della pandemia, in particolare in Europa e specialmente in Italia (48% nel nostro Paese, 33% globale). Per gli italiani la pandemia è una delle variabili che ha influito maggiormente sulla salute mentale, seconda solo all’economia e all’occupazione. Tuttavia manifestano un buon livello di ottimismo per il futuro e adottano un approccio positivo per superare le difficoltà (63% campione Italia, 55% media globale).

E’ quanto emerge dall’edizione 2022 dello studio “Being Mind-Healthy”, report sulla salute mentale e il benessere presentato da AXA e condotto da Ipsos su un campione di 11.000 persone a livello globale. Nel nostro Paese il 78% dei rispondenti (contro il 38% della media degli altri Paesi) dichiara di aver perso l’accesso ai servizi di assistenza per l’infanzia e alla scuola in presenza. Gli uomini invece manifestano un miglior stato di benessere mentale, legato anche a una maggiore sicurezza del lavoro e del reddito. I settori, infatti, più duramente colpiti dalla pandemia sono quelli che vedono un maggiore impiego femminile, come scuole, sanità e ospitalità. Persiste, tuttavia, un forte stigma sull’argomento salute mentale: gli italiani tendono a non parlarne con i figli e sono tra i meno propensi, in Europa, a cercare sostegno da familiari e amici in caso di disagio mentale. Un dato riassume il problema: l’Italia è l’unico Paese europeo dove il numero delle persone che hanno fatto autodiagnosi è superiore rispetto a quello di chi si è rivolto a uno specialista. Inoltre in Italia solo il 24% degli intervistati ritiene che il sistema sanitario pubblico fornisca un supporto adeguato, e solo il 31% ritiene che il proprio datore di lavoro dia sostegno ai propri collaboratori quando si tratta di salute mentale.

Covid: 21 Società scientifiche, misure per l’aiuto psicologico

25 gennaio 2022 – Un bonus per lo psicologo da utilizzare nell’immediato, ma anche misure strutturali per affrontare il disagio mentale cresciuto insieme alla pandemia. Lo chiede un documento firmato da 21 Società Scientifiche e indirizzato a Governo, Parlamento e Regioni, che sottolinea come l’emergenza Covid abbia “amplificato problematiche psicologiche e psichiatriche, facendo diventare il problema del malessere psicologico e dei disturbi psichici e comportamentali un problema sociale”.

Utilizzando al meglio le misure del PNRR, si legge, “nel contesto dei servizi sanitari è necessario adottare un quadro integrato di misure imperniato sull’attivazione di strutture pubbliche e innovative di prossimità per rispondere al bisogno di ascolto e sostegno psicologico, come il Consultorio psicologico, con la funzione di intercettare precocemente i bisogni di salute e benessere psicologico dei cittadini”. Così come è necessario “il potenziamento dei servizi di salute mentale, di neuropsichiatria infantile e delle dipendenze, dei Consultori familiari, del Piano Nazionale delle Cronicità, di psicologia ospedaliera, assistenza domiciliare, riabilitazione, neuropsicologia”. Nell’immediato, però, proseguono le società scientifiche, occorre garantire “l’accesso alle consulenze e trattamenti a tutti quei cittadini e quelle famiglie che non riescono ad avere risposte nel pubblico e non possono accedere nel privato per mancanza di risorse economiche, mediante l’erogazione diretta del bonus o voucher. Si tratta di una misura straordinaria, richiesta a gran voce da un numero crescete di cittadini, che può agire nell’immediato e accompagnare la concretizzazione degli obiettivi di revisione del sistema sopra indicati”.